Tra le maggiori difficoltà che un recensore di serie TV ha incontrato lungo il suo percorso bisogna certamente annoverare quella di riuscire ad avere un’opinione quanto più unitaria ed equilibrata possibile dei lavori di Ryan Murphy.
Il confine tra capolavoro assoluto e cafonata immane è sottilissimo così come il difficile rapporto di amore-odio che ho con qualsivoglia show abbia creato quella sua mente geniale quanto lunatica, a partire dall’indimenticabile e indimenticato Popular.
The Assassination of Gianni Versace è il secondo capitolo della serie antologica American Crime Story, sorella minore dell’altra creatura a tematica Horror in cui Murphy tiene le mani in pasta.
Che siate detrattori o estimatori dei lavori dello showrunner americano, su un punto possiamo essere tutti d’accordo: Ryan Murphy sa come cavalcare l’onda della pop culture e degli eventi del panorama mondiale più celebri, eclatanti, popolari o semplicemente più chiacchierati e twittati, e introdurli nei suoi lavori, trasformandoli nel leit motiv dell’intero show o sporcandoli di sarcasmo e ironia e stereotipandoli nelle sembianze umane di uno dei personaggi.
Lo ha fatto con Glee, lo continua a fare con American Horror Story e ovviamente non si lascia scappare di certo la ghiotta occasione con la sua creatura più recente.
Risale a un anno fa la celebre sfilata voluta da Donatella Versace per celebrare i vent’anni della scomparsa dell’amatissimo fratello, per la quale ha riunito le golden girls, le super modelle degli anni ’90 che hanno portato in passerella gli abiti del compianto stilista.
Un evento così toccante e sentito non poteva di certo passare inosservato, così come lo stesso delitto che all’epoca dei fatti provocò un brutale terremoto mediatico, coinvolgendo e sconvolgendo non solo la sfera privata della stessa famiglia Versace, ma anche l’intero panorama patinato e luccicante delle celebrity di tutto il mondo.
I documenti negli archivi di cronaca attribuiscono l’omicidio del celebre stilista ad Andrew Cunanan, un tossicodipendente dedito agli spacci di poco conto e invischiato anche in giri poco raccomandabili di prostituzione omosessuale e sospettato di essere l’artefice di altri omicidi, quindi da tempo in cima alla lista dei ricercati dalla polizia. Oltre ad attingere dalle testimonianze dell’epoca, lo sviluppo della serie segue anche i fatti narrati nel Vulgar Favors di Maureen Orth.
Come è facilmente intuibile, il tema di questo nuovo ciclo antologico si risolve nei primi dieci minuti del primo episodio, girati con virtuosismi di regia tanto da far perdere la cognizione del tempo che scorre. Ovviamente tutto ciò è una geniale trovata del nostro Murphy e il telespettatore studiato, che ben conosce tutti i trucchi e gli abili inganni con cui lo showrunner è solito rimescolare e confondere le carte in tavola, non si lascia abbindolare facilmente e ben presto l’imbroglio è bello che svelato. Da lì in poi, infatti, ci si muoverà avanti e indietro nel tempo, attraverso un uso (e un abuso persino) del flashback, strategia narrativa che si rivela vincente quando si vuole allungare il brodo per riempire il tempo a disposizione.
Il risultato sarà quello di una narrazione più vivace e dinamica, ma confusionaria e dispersiva allo stesso tempo, dove molto spesso si è portati a chiedersi verso quale direzione ci si stia muovendo.
I casi emblema sono quelli di A Random Killing e House by the Lake, episodi stand alone, il cui focus è incentrato sull’oscuro passato del tormentato Andrew Cunanan, interpretato da un eccelso Darren Criss che riesce a rendere palpabile con la sola potenza dello sguardo la follia e il delirio che hanno avvelenato la mente del serial killer.
Bugiardo, manipolatore, capriccioso, amante del lusso, degli agi e degli sfarzi propri di un mondo patinato quanto inavvicinabile per le sue umili origini sociali, l’Andrew Cunanan di Criss è disposto a qualsiasi cosa pur di ottenere ciò che vuole.
Un personaggio così sfaccettato, così affascinante e magistralmente interpretato da un attore pupillo di Murphy che finalmente riesce a mostrare al pubblico il suo talento grazie a un ruolo complesso, gravita attorno a sé tutta l’attenzione del telespettatore, facendo tristemente finire in secondo piano il vero protagonista.
Nonostante ci siano dei focus sull’infanzia e sulla vita privata – dal coming out, alla conferma della relazione con Antonio D’Amico, fino ad arrivare al cancro all’orecchio – non si hanno episodi interamente dedicati a Gianni Versace, ma le sue vicende vengono sempre mostrate in parallelo a quelle di Cunanan, quasi fosse un suo alter ego. Ecco quindi che in Don’t Ask Don’t Tell avremo lo sviluppo della tematica omosessuale – molto cara allo stesso Murphy – su due distinti versanti, quasi a voler creare dei paralleli, per andare a ricercare nelle vicende dei protagonisti punti di contatto e punti di diversità. Simile modus operandi lo si riscontra in Creator / Destroyer – episodio diretto da Matt Bomer – dove il leit motiv è l’approvazione e l’incoraggiamento da parte degli adulti per il proprio talento.
Una stagione incentrata principalmente sulla contrapposizione tra lusso e squallore, tra gloria imperitura e desolante anonimato, ma soprattutto la lacerante battaglia di un uomo che combatte contro una realtà soffocante che non accetta, intenzionato a inseguire disperatamente un sogno contro tutto e tutti, disposto a sfidare le regole e a fregarsene della propria integrità morale, pur di fuggire dal monotono grigiore della vita ordinaria.
Il punto di forza di The Assassination of Gianni Versace è senza dubbio il cast, un fiore all’occhiello in ogni lavoro di Ryan Murphy e composto, come molto spesso accade, da fedeli e immancabili eterni ritorni. Oltre a Darren Criss nel ruolo di Andrew Cunanan, troviamo Edgar Ramirez nel ruolo di Gianni Versace, Ricky Martin nei panni di Antonio D’Amico mentre Penelope Cruz porta in scena Donatella Versace.
Tra i volti noti bisogna menzionare Finn Wittrock, graditissima presenza in ogni lavoro dello showrunner.
Bellezza, violenza, lusso, squallore, dissolutezza, sfarzo, follia, scabrosità, eleganza è ciò che principalmente ricorderemo di questa seconda stagione, assieme a un superbo Darren Criss – di cui ancora un volta menziono con piacere e soddisfazione l’eccezionale policromia emozionale ed espressiva – che ha catalizzato su di sé tutte le attenzioni e gli elogi, confinando in uno sfocato secondo piano le vicende che avrebbero dovuto essere le principali.