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American Horror Story: Coven – Recensione 3×13 – The Seven Wonders (Season Finale)

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Coven è finito. La scuola per streghe Robichaux Academy è adesso aperta a tutti e tutti vivono felici e contenti, nel loro inferno o nel loro paradiso terrestre.

Un importante critico televisivo americano ha dato un giudizio caustico sulla serie che in molti nello staff di Serial Crush condividiamo:

It lurched drunkenly from idea to idea, never settling on one long enough to build anything of worth (la stagione è andata barcollando quasi ubriaca da un’idea all’altra, senza mai fermarsi su qualcosa abbastanza da costruirvi su qualcosa di buono).

Non me ne vogliate, ma il mio giudizio complessivo su Coven consisterebbe in una frase del genere. Murphy, recidivo, continua a fallire sempre alla terza stagione. Continua ad essere incapace di gestire una serie per oltre le due stagioni, sebbene AHS sia una serie che cambia soggetto ogni 13 episodi.

Apprezzo tanto i tentativi di elevare il livello della stagione, dai deliziosi cameo di Stevie Nicks alle tecniche di montaggio quasi da trip, così come, ad esempio, credo di essere tra i pochi che ha sinceramente apprezzato il ruolo e l’evoluzione di Madame LaLaurie. Dalla ben giocata citazione del film che ha reso grandissima Kathy Bates (Misery non deve morire) alle acute argomentazioni di lei sulla società di oggi, su questo regno dei media che ha fatto della vita di chiunque un palcoscenico. Delphine è stata, attraverso tutta la stagione, il pensiero nella sua forma più grezza, e proprio per questo più genuino, più vero. Gli Stati Uniti amano il loro presidente di colore, ma intanto continuano a lasciar morire barboni che non si possono permettere l’assicurazione sanitaria o i loro militari in Medio Oriente. E’ questo il messaggio che il Murphy notoriamente democratico vuole forse mandarci, con questo personaggio che si traveste di tutti i cliché di un repubblicano doc.

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Ma tutto questo non può di certo colmare il senso di vuoto che lascia questa stagione. Streghe, magia bianca e nera, demoni e società di templari. Il calderone era pienissimo, e Murphy doveva solo inserire gli ingredienti giusti. Ma invece di fare un bel minestrone, ha fatto un pasticcio.
Questo episodio finale inizia con l’Ultima Cena delle ragazze del Coven e con libere citazioni dalla Bibbia, giusto per rincarare un po’ la dose. Scena giostrata ad arte, funzionale ad introdurci nel cuore della puntata: la sfida dei Sette Prodigi. “Kick ass tomorrow”.

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Comincia questa sfida, qualcosa tra gli Hunger Games e i giochi di Takeshi Castle, e qui vediamo finalmente qualcosa che sa un po’ di scolaresco: le ragazze vengono messe alla prova e intanto si lanciano qualche battuta e fanno si dispetti a vicenda. Dopo un paio di scenette più o meno divertenti, iniziano i fallimenti.

La prima a fallire è Misty Day, la prediletta di Cordelia. Il fandom lesbo si era sbizzarrito sulle due, e questa scena finale è pane per i loro denti. Alla luce della scoperta finale, mi chiedo come mai il potere di Cordelia non sia riuscito a salvare Misty, personaggio bello ed etereo, affascinante nella sua ingenuità. Non perdonerò mai Murphy per averla tolta di mezzo con tanta superficialità.

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Il secondo fallimento, quello di Zoe, porta alla svolta nell’episodio. Intanto vorrei ben capire in cosa ha fallito Zoe:  la Trasmutazione la riesce a fare, anche se non bene, e, a rigor di logica, aveva già usato la Divinazione per scoprire come è morta Nan e il Vitalum Vitalis sul barbone. Cosa le manca quindi?? Nel pilot ci avevano illuso che Zoe sarebbe stata una delle protagoniste, che avremmo conosciuto le streghe di New Orleans attraverso i suoi occhi e che avrebbe avuto un amore epico e tormentato. Nessuno di questi presupposti è stato sviluppato: nel proseguire degli episodi il personaggio di Zoe è stato sempre più messo all’angolo, fino all’imbarazzante morte e resurrezione di questo season finale.

Questo evento, comunque, ci porta, da un lato, in un turbinio di ricordi della prima stagione, con tante scene Violet/Tate che ci tornano in mente, dall’altro, porta allo scontro tra Madison e Cordelia e all’entrata in gioco di quest’ultima.

Madison non si trattiene più, si sente più diva che mai (“Either crown me or kick my ass“), Cordelia inizia a prendere confidenza con i suoi poteri e fa faccine stranissime, Queenie balla e se la ride, Kyle ritorna l’assassino di sempre e leva di mezzo la next Supreme che non riesce a togliersi di dosso il ragazzetto; Spalding ottiene così la sua bambola. Cordelia intanto ha resuscitato la Mortisia Farmiga e “resuscita” anche lei stessa, in quanto NEXT SUPREME.

Come nella seconda stagione, alla fine il personaggio di Sarah Paulson trova sicurezza e forza interiore, si erge a guida spirituale di tutta la storia e ottiene quello che desiderava sin dall’inizio. Per farlo, giusto per interrompere la tradizione, compare in TV – follia, ma vabbè. Nella seconda stagione denunciava la triste realtà dei manicomi, in questa cerca di emancipare le donne streghe di tutto il mondo.

Ed ora, procedendo per gradi, si passa al rogo di  Myrtle: molti hanno trovato in questo personaggio una vena positiva dello show e, generalmente, anche io rimango affascinato dal bizzarro e dalle tinte di un personaggio simile. Ma a me è sembrato così forzatamente strambo, così eccessivamente colorito, tanto da stridere con l’attrice stessa che lo ha interpretato. Per non parlare, poi, del continuo parlare esageratamente barocco e dell’amore per l’alta moda tanto fuori luogo. Che senso ha avuto chiudere la storia di questo personaggio con un “Balenciaga”?

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Ben 12 minuti di questo finale sono poi dedicati alla chiusura del personaggio di Fiona. Interpretata da Jessica Lange, della quale potete rivedere vita e carriera da quest’articolo, Fiona Goode sembrava destinata ad essere uno dei pilastri della stagione. Dai primi episodi avevo iniziato a pensare che in questa stagione avrei visto tanti bei discorsi sul desiderio di eternazione – ricordate Fiona che succhia la vita da quell’uomo? – ma, ahimè, anche questo personaggio si è rammollito, si è affievolito ogni suo potere di controllo e di presenza scenica. Intense le scene in cui piange con Stevie Nicks, in cui si rivede in un letto di ospedale o in cui uccide con l’ascia il Templare, ma tutte queste scene (come in fondo tutta la stagione) mi danno come l’impressione di esser state girate per il solo scopo di apparire sui blog, sui Tumblr e sui vari social network di tutto il mondo. Le frasi di Fiona, come anche di Madison, della Laveau e delle altre, hanno questa aurea di sentenziosità ed #epicness che sembra finalizzata allo scopo di andare in trending su Twitter o su Facebook.

Anche qui, come nella seconda stagione, il ruolo della Paulson si confronta con un familiare e ne assiste alla morte. Il lungo dialogo delle due è la perfetta risoluzione di un rapporto madre-figlia poco chiaro perfino alle due protagoniste.

Io devo morire affinché tu viva veramente.

Poco utile e per nulla “horror” l’inferno della Lange, minuti davvero sprecati a mio avviso, che penso siano serviti soltanto a non lasciarci con la visione di lei senza capelli,  e anche per ridere un po’ con un’altra frase da social network:

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Ultime osservazioni per i personaggi lasciati fuori finora.

Marie Laveau: interpretata dalla maestosa Angela Bassett, altera regina del voodoo, è stata forse il personaggio con maggior potenziale sprecato, ma sicuramente ha avuto qualcosa da dire fino alla sua frettolosa dipartita. Da apprezzare sicuramente il suo alterco con Delphine e le profonde tematiche storico-sociali che portava con sé.

Kyle: l’inutilniente. Se nel passato è stato sempre tra i protagonisti, questa volta Kyle ha detto più battute (circa 10) nel season finale che in tutto il resto della stagione. Un Frankestein mal sfruttato, anche lui, il cui bel culetto non è servito a garantirgli un posto in questa stagione tutta al femminile, in cui gli uomini o si piegano al volere delle donne, o vengono brutalmente uccisi.

Spalding: non mi è chiaro perché, se Cordelia deve eliminare il marcio dal suo Coven, non ha eliminato anche Spalding e Kyle, colpevoli di aver ucciso Madison. Che non lo sappia? Non ci è dato saperlo, visto che questo è un palese buco della storia. Per il resto, il suo è uno dei personaggi meglio riusciti, più caratteristico e geniale. E l’attore merita veramente un bel premio.

Nan: tutti tra noi fan (almeno i buoni di cuore) abbiamo sperato fino all’ultimo che almeno questa volta ce la facesse fino alla fine della stagione. E invece no, hanno dovuto brutalmente farla fuori, proprio quando stava iniziando a diventare molto interessante. Ritengo che Jamie Brewer si sia superata nell’interpretare questo personaggio, e che ha retto bene il confronto con Patti LuPone – il cui personaggio, insieme a quello di Luke, sono stati più inutili che altro.

Queenie: Aveva un potere super figo, aveva del potenziale e poteva diventare la nuova regina Voodoo, prendendo il posto di Marie Laveau. Invece è rimasta una mera marionetta in mano a chiunque passava di lì. Almeno spero che con questa gif ve la ricorderete con un sorriso:

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Di cosa parlava, quindi, questa stagione? Asylum forse aveva un numero eccessivo di storyline che, però, erano tutte confluite nel bellissimo season finale. Stavolta le vicende dei vari personaggi sono state abortite frettolosamente, senza consentir loro un pieno sviluppo. Se Asylum era confuso, allora Coven non ha raccontato nulla degno di essere ricordato. Un finale troppo buonista e con uno stucchevole lieto fine. Dov’è il dramma? Dov’è l’horror, che in teoria, dà il nome alla serie? Diteci la vostra con un commento!

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Con la collaborazione di: Sara Accini, Clara Fidone.

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About Memory717

Memory717
Ama definirsi “just a small town boy”, richiamando un po’ alla memoria una vecchia canzone dei Journey (se state già pensando a Glee c’avete azzeccato). Oltre ad essere un Gleek (almeno fino alla terza stagione, ci tiene a precisare), è addicted to Grey’s Anatomy, serie che, a suo dire, gli ha cambiato la vita, nonostante la recente degenerazione dello show di Shonda. Da un'iniziale selezione precisa dei generi di telefilm da accettare è passato a vedere la qualunque e anche di più! Ha sviluppato una grandissima passione per le serie tv che sanno far ridere con metodi e tecniche registiche alternative ai tipici canoni stereotipati modello "Friends" o "Famiglia Bradford", ed è sempre alla ricerca di comedy da divorare tra una pausa studio e un'altra. Oltre le comedy, ha scoperto che del trash si può ridere tantissimo - non toglietegli Pretty Little Liars, - ma sa anche apprezzare serie di una qualità superiore alle altre ( Mad Men, VEEP, Orange is the New Black, True Detective, Breaking Bad, Game Of Thrones, Downton Abbey, Banshee, Parks & Recreation, Community, Homeland).

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