Banshee – Lo showrunner parla dell’evoluzione dello show

Banshee

La serie Cinemax Banshee, piccolo gioiellino del panorama televisivo attuale, è appena giunta alla sua quarta e conclusiva stagione, cambiando completamente alcuni suoi elementi costitutivi e mantenendone invece inalterati altri. Lo showrunner Jonathan Tropper ha risposto quindi ad alcune domande in merito al perché abbiano deciso di chiudere proprio adesso, ad alcuni rimpianti sulla storyline e a quello che lo rende orgoglioso della serie.

Con la consapevolezza che si tratta della stagione conclusiva, riesci a guardarti indietro e vedere un elemento che leghi tutte e quattro le stagioni, o non ti approcci allo show in questo modo?
No, non ci guardiamo indietro. Possiamo di sicuro dire che la terza stagione aveva la migliore azione, quindi non mi andava di passare tutta la quarta a cercare di renderla superiore alla terza. Questa si concentra di più su momenti brutali, duri, incentrati sui personaggi. Siamo già a quota 30 episodi in compagnia di questi personaggi ed è giunto il momento di vedere dove ci porta tutto ciò. Quindi, ritengo che la quarta stagione sia più tesa, ricca di suspense e più incentrata sui personaggi. Di sicuro abbiamo delle scene d’azione, ma non è quello il fulcro.

Cosa ha fatto sì che si chiudesse con la quarta stagione e, nello specifico, con soli otto episodi? Vi bastavano per raccontare la storia?
È stato un insieme di fattori. Ci resto sempre male quando degli show che amo vanno avanti troppo a lungo e cominciano ad andare fuori dalle righe. Alla fine della terza stagione, una volta che Hood non era più sceriffo, era venuta meno la premessa con cui avevamo cominciato, cioè che si trattasse di uno show su di un falso sceriffo. Andare ancora avanti e ridargli in qualche modo questo ruolo sarebbe stato ridicolo. La città potrebbe avere storie da raccontare, ma ci sembrava che quella di Lucas stesse volgendo al termine. Tutte le idee che ci sono venute su come andare avanti ci facevano dire “sì, è figo, ma si tratta di un’altra storia”. Passare alla vita di Lucas post-sceriffo è stato l’inizio della fine e provare a concludere due stagioni sembrava facesse perdere immediatezza alla storia. Per quanto concerne il numero di episodi, è stata essenzialmente una decisione presa per ragioni finanziarie. Abbiamo un budget limitato e, se ne avessimo fatti dieci, non avremmo potuto presentare tutta l’azione che ci sembrava opportuna, né sarebbe riusciti a produrre episodi profondi come quelli cui siamo abituati. Quindi, abbiamo optato per soli otto episodi, ma tutti ricchi.

Continueremo a scoprire di più sul passato di Lucas?
Abbiamo creato una sorta di aspettativa al riguardo per tutti questi anni, ma l’idea è che in realtà lui non sia mai stato davvero qualcuno. Si è formato in prigione, e, prima, continuava a cambiare chi fosse. Tutto lo show si basa sulla sua ricerca in merito a chi davvero lui sia. La prima cosa che ha fatto, uscito di prigione, è stato assumere un’identità che non gli apparteneva, quando capirà chi è davvero? Se ne va in giro come uno duro, atteggiandosi come se sapesse quello che fa, ma quando gli togli l’azione, non sa proprio chi è.

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Il produttore esecutivo Greg Yaitanes ha dichiarato che il nome di Lucas Hood sarebbe stato rivelato probabilmente nel series finale, altrimenti lo show avrebbe avuto fine se gli spettatori lo avessero saputo prima. Adesso, ne verremo davvero a conoscenza o lo show ha superato quella questione?
Onestamente non so se esiste un nome che per gli spettatori non sarebbe, sotto un qualche punto di vista, deludente. Non sto dicendo che lo riveleremo né che non lo faremo, solo che non penso abbia grossa importanza. L’intera essenza di Lucas Hood, quale che sia il suo nome, è che non corrisponde ad una persona reale. È un uomo senza nome e voglio che continui così.

All’inizio avevi un nome in mente?
No, per me è sempre stato privo di nome.

Cosa ti ha portato a costruire questa tematica del serial killer?
Una serie di fattori, ma principalmente è venuto fuori dalla storyline di Brock. Dopo tre anni di sue sofferenze, finalmente ha il suo palcoscenico, quindi volevamo una situazione alla “attento a quello che desideri”. Non appena ottiene il tanto ambito ruolo di sceriffo, affronta la peggiore situazione che gli potesse capitare. Quindi si è trattato di questo. L’ha voluto così a lungo e ora che l’ha ottenuto, è tutto fuori controllo. Per superarla, è necessario che realizzi, anche inconsciamente o comunque senza dirlo, che ha imparato davvero tanto da Lucas. Ne odiava il modo di lavorare, ma certe volte mali estremi richiedono misure estreme. Il succo è che Brock deve capire che, se lavorasse nel modo in cui immagina si debba lavorare, non porterà a termine la vicenda. Una cosa che amiamo è costruire strane alleanza, cosa che il serial killer ha fatto alla perfezione: ha unito Lucas e Proctor, in un certo senso, e anche Brock e Lucas. Ci ha permesso di introdurre il nuovo agente FBI Dawson, il che per Lucas è sempre un problema. Il serial killer è un ottimo espediente per far girare la ruota fra tutti i nostri personaggi, ma, al contempo, non vedremo semplicemente persone morire per poi dimenticarcene. La storia arriverà in un punto preciso.

Cosa speravate di fare con l’introduzione dell’agente Veronica Dawson?
Volevamo qualcuno che sapesse il fatto suo con Lucas, lei ha il distintivo ed è una vera agente, ma al contempo, come lui, prova un certo disprezzo per le regole e il protocollo – in più, è cazzuta come lui. È al contempo sua amica e sua nemesi, nel senso che non può oltrepassarla né aggirarla, quindi è costretto a lavorarci. Al contempo, è una minaccia per la sua identità. Una nemesi non è sempre una persona cattiva. Volevamo introdurre qualcuno che Lucas potesse supportare per una ragione comune, ma che gli causasse comunque problemi.

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È interessante vedere qualcuno come Lucas arrivare al punto di non voler più vedere nessuno per mesi. È qualcosa che pensi di aver costruito nel tempo?
Penso che sulle sue spalle si siano accumulati pesi crescenti, con tutto il male che ha fatto e le persone che ha perso. Penso che la combinazione della perdita di Siobhan prima e quella di Job dopo sia stata fatale. Pensa di distruggere tutto quello che tocca. Perdere Job ed essere incapace di ritrovarlo l’ha spinto al limite. Già era in lutto per la sua donna, poi ha perso Job, che era sua responsabilità, e questo l’ha fatto andare oltre.

L’amicizia fra Lucas e Job è stata seriamente messa alla prova. Potranno mai recuperare appieno questo legame?
Penso che la loro sia un’amicizia profonda e duratura, probabilmente l’unica vera amicizia che hanno. C’è un incredibile quantità di redenzione nel fatto che sia stato capace di salvarlo. Penso che entrambi siano i tipi che non riescono a tenere il broncio.

Quanto profondamente ha influito su Carrie questa situazione?
Uno dei concetti basilari dello show fin dall’inizio è stato che qui nessuno ottiene il suo finale felice. Queste persone fanno cose cattive, compresi i nostri eroi. Mentono, compromettono il dipartimento di polizia, Carrie ha addirittura ingannato la sua stessa famiglia. Hanno fatto cose terribili e molti sono morti a causa loro, quindi non possono scrollarsi di dosso il tutto. Nessuno ne esce indenne. Tutti questi eventi li hanno in un certo senso avvicinati, ma a nessuno viene concesso di allontanarsene felicemente.

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Essere sindaco ha aiutato Proctor ad essere più libero di fare quello che gli pare oppure lo ha messo ancora di più sotto il bersaglio?
La sua ascesa a sindaco era parte di un piano più grande: doveva assumere il controllo sulle forze di polizia perché, in questo modo, avrebbe potuto costruire il suo traffico e dimostrare ai criminali stranieri che Banshee è una sorta di porto sicuro per loro. È una mossa coraggiosa, ma è la sua mossa finale per assumere il controllo. Di solito corrompeva lo sceriffo, ma non ha funzionato con Lucas e non lo farà con Brock. Quindi, ha fatto tutto il possibile per controllare la polizia, così da poter mantenere la sicurezza per il suo traffico di droga.

Bunker è stato un personaggio molto interessante da vedere, con la sua storia e dove è adesso. Avevate in progetto di renderlo un personaggio così simpatetico, così che i fan tifassero per lui?
Sì, sin dal momento in cui lo abbiamo introdotto. Banshee si basa su quello che sta sotto la superficie, lui non fa eccezione. Abbiamo un dipartimento di polizia che prima era una rivendita di auto, un poliziotto che prima era un criminale, un gangster che prima apparteneva alla comunità Amish. Tutto prima era qualcos’altro, Bunker pure. Si inserisce bene tematicamente. Ma l’intero scopo era vedere se sareste riusciti a tifare per una persona per cui, di primo impatto, non dovreste, ma c’è qualcosa per cui invece vale la pena, così come tifate per chi fa cose assolutamente riprovevoli nello show. Ha un buon cuore, sta tentando di fare ammenda per il passato. Per me è un personaggio molto intrigante e questo è stato il progetto per lui.

Rimpiangi qualche storyline?
Ci sono molte storie che non abbiamo potuto raccontare, dieci episodi non sono molti. Avevamo molti progetti per Deva che non si sono realizzati, un’intera storyline per Burton che non vedrà la luce. Non rimpiango alcuna storyline, al massimo come una o due sono state condotte. Poi, ci sono un paio di personaggi che, con il senno di poi, non avrei ucciso. Ma no, non rimpiango nulla. C’era tanto che sognavamo di raccontare, specialmente nella prima stagione, in cui eravamo troppo ambiziosi e non ci siamo riusciti. Credo sia tipico del mestiere.

La morte più difficile dello show c’è già stata o dobbiamo ancora vederla?
Molti sono ancora scossi dalla morte di Siobhan, ricevo ancora molti tweet di odio al riguardo. È stato il punto di svolta dello show e per Lucas. Non penso ci sia alcuna morte che avrà mai risonanza paragonabile a questa.

Guardando indietro a tutto quello che lo show è riuscito ad ottenere, di cosa sei più orgoglioso?
Sono semplicemente orgoglioso del fatto che siamo riusciti a mandare in onda uno show senza precedente alcuno: di per sé non assomiglia a nessun altro show e l’abbiamo rappresentato in maniera non similare ad alcun altro show. Sulla carta sembrava pazzesco. Abbiamo in qualche modo convinto Cinemax a lasciarcelo fare e l’hanno fatto, senza mettersi in mezzo. Per la prima volta in milioni di anni abbiamo uno show che non può andare in onda né su un broadcast network né su un premium. In questi quattro anni se ne sono visti molti di show così, ma sono sinceramente convinto che mandare uno show del genere in onda – con lo storytelling da cinema, l’azione e il pulp crescente – ha fatto sì che si scavasse la sua nicchia e che niente del genere sia mai andato in onda prima. Ne sono molto orgoglioso. Non penso che avrei mai fatto lo show che sto facendo ora per Cinemax, se non ci fosse stato Banshee.

Banshee

Di che show si tratta?
Al momento si chiama Warrior e tratta delle guerre Tong nel quartiere Chinatown di San Francisco del 1870 e di un prodigio delle arti marziali che viene dalla Cina e si trova invischiato in queste faccende. Lo sto facendo con Justin Lin. È uno show d’azione, ma anche storico. Siamo nel campo di Bruce Lee, quindi ne stiamo inserendo un po’ nel mezzo. È uno show pulp storico sulle arti marziali, che non penso avrei fatto, se non ci fosse stato Banshee a precederlo.

Il nostro viaggio a Banshee sta per terminare, quindi aspettiamo insieme il series finale per commentarlo e dirgli degnamente addio. It’s been a hell of a ride.

Fonte

About Allegra Germinario

Studentessa di Giurisprudenza, per descrivermi basta dire che il mio modello di donna è da sempre Buffy. Top 5 telefilmica: Buffy l'Ammazzavampiri, Dexter, Justified, Banshee e Sherlock, ma una menzione d'onore va anche a Jessica Jones.

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