Avendo visto Paul Giamatti in diverse circostanze cinematografiche, e avendo apprezzato il suo spirito da eterno perdente (forse perché mi ci identifico), l’idea di vederlo al lavoro in una serie televisiva sugli squali economici mi aveva incuriosita. Il primo episodio mi ha confermato che Giamatti ha un raro talento e che, proprio per questo, rende una serie televisiva, altrimenti per me indigeribile (io e l’economia non abbiamo mai fatto faville), guardabile.
Il mio commento positivo, tuttavia, si ferma qui. Probabilmente, le mie solide basi femministe mal reggono uno show televisivo basato sulla costruzione della mascolinità e del potere politico, economico, sessuale dato dal denaro. La piega presa da questa serie è già lapalissiana nelle scene d’apertura, dove una dominatrice atterra Chuck Rhoades (Paul Giamatti) per terra e spegne, al contempo, una sigaretta prima premendola sul petto di lui e poi facendoci pipì sopra. L’urina è il trait d’union simbolico delle due prime donne che si fronteggiano in Billions: Bobby Axeroid (Damian Lewis) mostra ai suoi figli, entrambi maschi (guarda caso), il loro cane mentre fa pipì in salotto come esempio di marcatura del territorio e quindi di ostentazione della propria virilità. Questo dispositivo antropo-poietico, oserei dire, è confermato da una seduta di psicoterapia presieduta dalla moglie di Chuck, Wendy Rhoades (Maggie Siff): bisogna autoconvicersi di essere dei duri e questo convincimento deve essere urlato, ostentato con protervia.
Il personaggio di Wendy si rivela il più interessante: una donna che ragiona come un maschio alfa, come suo marito, e che riesce a ritagliarsi un suo spazio identitario legittimo. Incarna perfettamente l’ideale femminile in vigore in questi ultimi anni: ambiziosa, ma al tempo stesso capace di giostrarsi con gli impegni familiari e coniugali, senza però (anzi, direi assolutamente no) farsi mettere i piedi in testa. In lei ci sono le caratteristiche dell’alchimista: intuire la natura della materia che ha di fronte e scegliere sempre il mezzo efficace per poterla manipolare e forgiare in vista di un obiettivo preciso. In qualche modo, quest’immagine che Wendy trasmette di se stessa rafforza l’immagine al testosterone dei due competitors della serie, in modo non molto distante da Claire Underwood in House of Cards.
Indubbiamente interessante da un punto di vista antropologico (molti accenni potrebbero essere fatti, per esempio, a Foucault e ai suoi studi sulle pratiche del corpo), forse troppo “maschile” e “pesante” nel delineare le maglie e le logiche di potere per poter essere guardato come divertissement serale. Consiglio di guardarlo, quindi, con occhio attento e con obiettivi epistemologici. Nel puro senso. Altrimenti, è meglio che vi concentriate su altre serie televisive.