A Camp Stillwater sono arrivati i campeggiatori e dunque, di pari passo, la storia entra nel suo vivo.
Chiarito nello scorso episodio che da Dead of Summer ci si deve aspettare solo alcune cose, trovo che con Barney Rubble Eyes si faccia un passo in avanti nella storia, nonostante questa sia fortemente contraddistinta da elementi di forzatura che convincono ben poco.
Il flashback continua ad essere un mezzo utilizzatissimo per lo snodo della storia, collega il passato con il presente per permetterci ci conoscere meglio i personaggi. Ogni puntata prenderà in esame la storia di un personaggio e ci farà conoscere i fantasmi del suo passato, quelli che poi si troverà a combattere nel presente e questo è un modus narrandi la storia facilmente riconducibile a Lost – e infatti vi ricordo che alcuni dei produttori esecutivi di Dead of Summer sono gli stessi di Lost.
Ci addentriamo nel passato di Alex Powell, scopriamo le sue origini russe ed il suo vero nome, Aleksey – e qui forse andrebbe fatta una digressione su quanto sia coglione il datore di lavoro di origini chiaramente italiane che non riesce a pronunciare un nome che è praticamente identico al suo corrispettivo americano. Scopriamo i suoi disagi nell’essere un russo in America e questi disagi sono gli stessi che un bambino, Anton, vive nel campus insieme ai suoi compagni. Leggo l’inserimento di questo bambino, che non è altro che una traslazione di Alex, come un’imposizione da parte degli sceneggiatori, come la forzatura di voler inserire a tutti i costi un ponte di unione tra il passato di Alex e il suo presente. Viene usato anche come mezzo per umanizzare il personaggio e mostrare la dualità della sua personalità, quella umana e caritatevole che si contrappone con questo stereotipo dell’immigrato che cerca di riscattarsi, anche a discapito del suo amico. In definitiva Alex ci viene mostrato come un personaggio crudele ma spiegano le origini della sua crudeltà, con un flashback che a mio avviso è molto interessante fino a quando non viene fuori che lo fa solo per avere qualche bella maglietta pulita. Un personaggio come lui, in un contesto storico delicato come quello della fine degli anni 80, poteva fornire moltissimi spunti di approfondimento che invece subito vengono appiattiti da questa banale forma di vanità.
È sempre tramite Anton che in Barney Rubble Eyes viene introdotto e gestito l’aspetto sovrannaturale e, anche in questo caso, mi è sembrato che il tutto sia stato gestito in maniera sbrigativa e poco ricercata. Il bambino più problematico e più deriso è anche l’unico in grado di vedere Candyman (scusatemi ma finché non gli verrà dato un nome, io lo chiamerò così!)… non vi sembra anche a voi un modo troppo semplicistico di gestire un aspetto così essenziale per la serie come quello del sovrannaturale?
Ad onor del vero, nonostante il modo molto meh con il quale viene diretto il sovrannaturale, vengono inseriti degli elementi interessanti, che sollevano le giuste domande: chi è Candyman? Che cosa gli è successo nei luoghi che oggi delimitano il Camp Stillwater? Che ruolo ha Deb in tutto questo? È giusto che una serie tv come Dead of Summer giochi su questi quesiti, ma la paura costante è quella che, nel creare troppo hype, alla fine non si riesca a stare al passo con le aspettative. Vengono introdotti dei nuovi personaggi strettamente legati al vicesceriffo ma che hanno anche una diretta connessione con tutto ciò che sta succedendo e la mia speranza è quella di non dover aspettare proprio l’ultimo episodio per riuscire ad avere risposta a qualche domanda.
Ci viene mostrata di nuovo la scatola dissotterrata da Deb nel pilot e già sappiamo che contiene qualcosa di importante, ma per cosa? Di sicuro, o per combattere il male o per servirlo, le opzioni generalmente sono queste. È ancora troppo presto per fare un’ipotesi, ma ammetto di essere curiosa.
Questo metodo di presentazione dei personaggi che diventano protagonisti di un episodio a testa è molto efficace per le serie tv corali che devono riuscire a far conoscere la storia di più personaggi in un lasso di tempo ristretto, ma mi piacerebbe vedere i personaggi interagire tra di loro in maniera più dinamica. Piano piano sta succedendo e in parallelo alla storyline principale, possiamo vedere anche le sottotrame che si annodano e snodano. Blotter è il primo dei ragazzi a lasciarci e, a giudicare dall’epilogo dell’episodio, non posso ce pensare che la prossima volta che lo vedremo non sarà più in carne ed ossa.
In conclusione, Dead of Summer ha molte cose che non vanno, molto cose che dovrebbero essere fatte diversamente, e presenta molti stereotipi che a lungo andare infastidiscono, ma nonostante questo continuo a guardarla con piacere e finché la sua visione non mi urterà fino a costringermi a spaccare il computer, non me la sentirò di demolirlo.
Vi do appuntamento alla prossima recensione e colgo l’occasione per invitarvi a passare da Dead of Summer Italia.