Doctor Who – Recensione 10×03 – Thin Ice

Con la decima stagione gli autori hanno deciso di ricalcare più da vicino le orme di una scrittura di vecchio stile, fatta di uno schema narrandi circolare e ben strutturato riconoscibile dagli appassionati della serie. Gli Whovians più accorti riescono a individuare e isolare con chiarezza alcuni topoi delle prime avventure nelle quali viene coinvolta la nuova companion: maggiore spazio dato all’introduzione della nuova umana a danno della componente aliena, prima esplorazione a carattere quasi didascalico come a voler spiegare a un principiante come si svolgeranno i giochi dal momento che ora è parte integrante dell’equipaggio ed infine la prima dimostrazione delle reali potenzialità della TARDIS, senziente e capricciosa bad girl entrata fin da subito nelle simpatie di Bill.

Se anticipare Thin Ice con il cliffhanger con cui si era concluso Smile la scorsa settimana era l’escamotage adottata dagli autori per mantenere viva la curiosità e alto l’hype per questa nuova serie di avventure, devo dire che lo scopo è stato pienamente raggiunto e il risultato finale di tutti i loro sforzi più che soddisfacente.
L’espediente del viaggio indietro nel tempo alla scoperta di grandi personaggi del passato è un altro elemento noto ai fan della serie. In questa occasione però, il consolidato modus operandi viene modificato, preferendo far atterrare la TARDIS in un contesto storico, culturale e sociale ben definito, lasciando così da parte uno dei tanti miti che hanno lasciato un importante segno nella Storia.
Rose, dopo aver assistito alla fine del mondo, conosce Charles Dickens; dopo aver riportato il suo ospedale di nuovo sulla Terra, Martha incontra William Shakespeare e un trio di vecchie avide megere; Donna invece approda a Pompei, poco prima della celebre quanto dolorosa eruzione del Vesuvio; Rory e Amy hanno il loro bel da fare con Winston Churchill e Adolf Hitler, mentre a Clara tocca la tensione della Cold War.

Uno degli espedienti più particolari e meglio utilizzati nell’universo di Doctor Who è quello di riuscire a inserire elementi molto particolari in ogni episodio e a dare al tutto un sapore diverso da quello che per qualsiasi altro show risulterebbe awkward o weird.
Insomma Doctor Who è l’unico che può permettersi di combinare insieme vampiri e Venezia del 1580 e creare un episodio godibilissimo senza far sembrare il tutto una folle rapsodia.
E gli autori sanno molto bene che possono giocare sulla commistione di elementi di varia natura, che sia reale o immaginaria o assurda, senza creare nessun clamore. Per questo un elefante sul Tamigi ghiacciato di una Londra del 1814 non ci risulta un qualcosa di strampalato.

Nella parte iniziale Thin Ice si dilunga molto sull’esplorazione di questa singolare Londra da parte del Dottore e di Bill, intervallata in diverse occasioni da dialoghi profondi e introspettivi tra Twelve e la sua nuova companion. L’introduzione di Bill nell’equipaggio della TARDIS ha provocato un forte scossone allo status quo creatosi con Clara.
Bill è curiosa, intelligente, esperta di fantascienza, in grado di stare al passo con le nuove avventure. Questa nuova personalità della companion giova ampiamente al Dodicesimo, permettendogli di vivere questa fase della sua rigenerazione con una ritrovata leggerezza e senso dell’umorismo che erano invece mancati nell’ottava e nella nona stagione.

Una personalità troppo cupa, troppo tenebrosa e scettica, contornata da un humor comprensibile a pochi eletti, alla quale bisogna aggiungere la scrittura di storyline non sempre all’altezza della bravura e del carisma di Peter Capaldi, Twelve ha faticato a farsi apprezzare dal pubblico. Ma ora sembra che gli autori siano riusciti a districarsi da quella spirale deleteria in cui si erano incatenati, donando finalmente un ciclo di avventure che puntano dritte verso un preciso obiettivo.

Il significativo dialogo che si costruisce attorno al comprensibile shock di Bill, in qualità di nuova companion, per la dipartita del piccolo Spider è gestito sapientemente, con importanti riferimenti a sfumature delle precedenti rigenerazioni. La calma e la compostezza glaciali con le quali vengono liquidate quasi su due piedi le inevitabili morti a cui si può andare incontro quando si viaggia in time and space richiamano a gran voce The Day of the Doctor, precisamente il confronto che avviene tra Ten ed Eleven rinchiusi nella Torre di Londra insieme al War Doctor. Il comportamento a volte fanciullesco e giocherellone dei due, come se si fossero dimenticati di essere adulti, è solo una difesa che hanno escogitato per celare il dissidio interiore che li divora. Se Ten è l’uomo che si è pentito e che vive di rimorsi ed Eleven l’uomo che ha dimenticato per sopravvivere, Twelve è il Dottore consapevole delle proprie azioni e delle responsabilità che esse comportano, compresi gli eventi dolorosi e sconvenienti. A differenza dei suoi altri volti, Twelve ha raggiunto un forte equilibrio interiore che gli consente di agire con lucidità e determinazione.

‘I’m 2000 years old and I have never had the time for the luxury of outrage.’

La scrittura è affiata a Sarah Dollard, un’aggiunta piuttosto recente al team creativo e produttivo dello show. La scorsa stagione abbiamo avuto modo di vederla in azione con Face The Raven, episodio che ha fatto arricciare piuttosto prepotentemente il naso a tutti gli Whovians per la frettolosità con cui era stata affrontata la dipartita di Clara. L’elemento del tatuaggio sembra piacere particolarmente all’autrice, elemento che accomuna entrambi i suoi lavori. Questa volta la Dollard affronta la tematica con più calma, costruendo tutt’intorno alla tematica alinea un’ambientazione quasi dickensiana: la mente vola veloce a Oliver Twist grazie specialmente alla triste storia degli orfanelli.

Nessun intreccio cervellotico, nessuna manipolazione o riscrittura temporale, nessuna evoluzione fantasiosa od originale, caratteristiche tipiche della scrittura di Steven Moffat, attento a creare suspence, nuovi villains e collegamenti tra passato, presente e futuro con brusche accelerazioni in avanti. Thin Ice giunge invece alla conclusione senza troppo clamore e senza approfondimenti relativi alla natura della creatura acquatica, seguendo la linea di sviluppo inaugurata con The Pilot e Smile. Tematica che viene però ripresa dalle passate glorie è quella dello sfruttamento di una creatura aliena per scopi deplorevoli e il salto della fede del Dottore che crede nella sua bontà e le dà fiducia, a differenza del cattivo che invece non ha possibilità alcuna di redenzione.
Modus già incontrato con Eleven, Amy e Rory alle prese con lo sfruttamento della Balena Astrale in The Beast Below.

Terzo episodio auto-conclusivo che però mantiene viva l’attenzione e l’interesse dello spettatore grazie alla trama orizzontale. Costretto a rimanere sulla Terra da un misterioso giuramento, ribaditogli con costanza da Nardole, Thin Ice aggiunge un nuovo particolare: la cassaforte sigillata da scritte gallifreyane e qualcuno chiuso al suo interno che bussa con tenacia. Il pensiero vola subito al Master, il cui ritorno è atteso con piacevole curiosità, ma sarà chiunque si nasconda ha tutte le carte in regola per stupire.

La struttura di questa decima stagione ripercorre quella vincente dell’ottava, con indizi circa un mistero da risolvere disseminati nell’arco di tutti gli episodi, come piccoli pezzi di puzzle da assemblare mano a mano che la narrazione procede.
Steven Moffat ha intenzione di sbalordirci con alcuni assi nella manica che ha conservato gelosamente per il suo ultimo colpo di scrittura.
Per me è okay.

About anna_who

Top 5: LOST, Doctor Who, Twin Peaks, Sons of Anarchy, Sex and The City. Classe 1990. Ama alla follia lo sci-fi, il fantasy e tutto ciò che implica il genere soprannaturale. L'incontro con le serie tv avviene in tenera età, quando i suoi la iniziano a Charmed, X-Files e ER. Trascorre l'infanzia tra le crisi adolescenziali dei ragazzi di Capeside e le avventure della Scooby Gang: è a questo periodo che risale la comparsa di alcuni sintomi della telefilia. La sua dipendenza non ha trovato altra cura se non quella di assecondare la sua innata capacità di guardare un episodio dietro l'altro fino a farsi bruciare gli occhi.

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