Anche se ci è voluto più di un anno per avere la decima stagione, bisogna ammettere che l’attesa è stata ben ripagata. La scelta coraggiosa degli autori di rispolverare il vecchio schema circolare degli episodi, devo ammetterlo, è uno dei motivi che mi hanno ri-fatto innamorare di Doctor Who ancora una volta. Nonostante io non sia una di quelle che criticano gli ultimi anni di gestione Moffat, è evidente anche a me il salto qualitativo della decima stagione, soprattutto se paragonato alla nona. A completare quest’evoluzione della serie c’è una particolareggiata attenzione ai dettagli nella costruzione dei personaggi, protagonisti e non. Tutti gli attori che compaiono nell’episodio sembra siano stati creati da Dio apposta per il loro ruolo in Doctor Who, questo è un risultato che solo le migliori serie riescono a raggiungere.
Knock Knock, diretto da Bill Anderson (regista anche della precedente puntata), affronta una delle tematiche più care a Moffat, la paura, che questa volta ci viene presentata sotto forma di “casa mannara”, come se le fobie che ci ha già instillato non siano sufficienti. Come nella migliore tradizione moffatiana, verso il finale la trama ha una svolta drammatica che coinvolge l’amore più puro al mondo, quello di un figlio per la madre. Il proprietario (David Suchet) della casa affittata da Bill e dai suoi amici, tiene in vita sua madre Eliza (Mariah Gale), fatta completamente di legno, tramite una specie di insetti aliena, che forniscono alla donna, ogni 20 anni circa, il nutrimento che le serve per vivere, le persone. Il Dottore designa per questa nuova specie il nome di Driadi, collegandoli direttamente con gli spiriti degli alberi della mitologia greca, così facendo li priva dell’accezione di mostri per elevarle al rango di creature che vanno rispettate per le loro capacità quasi magiche.
Il concetto di rispetto per le diverse forme di vita, che a prima vista possono appunto far paura, viene ancora una volta ricalcato (non solo dalle Driadi ma anche da ciò che si cela nella cassaforte, presumibilmente alieno), facendolo diventare il leit motiv fantasma della decima stagione. Già la scelta di un’attrice di colore dopo il flop del personaggio di Martha Jones (interpretata dalla splendida Freema Agyeman), facevano intuire da quale parte del dibattito internazionale attuale la serie avesse deciso di schierarsi. D’altronde, Doctor Who è una serie nata con uno scopo educativo, e quale miglior modo di dimostrare la stupidità della paura del diverso se non quella di mettere al centro di queste discriminazioni delle creature aliene?
Il personaggio del proprietario è stato costruito con i più classici stereotipi dei film di paura, uomo anziano, misterioso ed inquietante che, però, si pone verso le sue vittime come una persona dolce, accorsa in loro aiuto proprio quando ne avevano bisogno. Chiunque abbia ingerito una buona dose di pellicole horror, sa perfettamente che tutti i film della categoria iniziano in questo modo. Cosa che non sfugge a Bill, che ancora una volta dimostra di avere una spiccata capacità di analizzare le situazioni e una mente acuta, che le permettono di guardare sotto la superficie e scoprire la verità. Il dramma di Eliza durante l’episodio, viene rotto proprio dalla vivacità della ragazza, che, con nostro sommo piacere, influenza anche il Dottore, scalfendo la sua scontrosità.
Ancora una volta, come a voler sottolineare in modo quasi esasperato l’importanza del ruolo di un/una companion, è Bill a far scattare la molla che mette in moto l’esatto meccanismo deduttivo del Dottore, evitandogli di prendere una cantonata. Il Dottore che sa ed ha visto tutto e che ha vissuto tanto, proprio a causa di questa sua estrema apertura mentale, spesso dimentica dettagli che certo non sfuggono ai mortali, come l’età. Ed ecco che la figura di Bill si trasforma in un’ancora di salvataggio per la “normalità”, come a voler simboleggiare l’evergreen “cambio del punto di vista”, l’unico strumento in grado di svelare la verità. Il Dottore ha combattuto l’Ultima Grande Guerra del Tempo, ha conosciuto le creature più cattive dell’universo, è anche normale che fatichi a rimanere attaccato alla consuetudine. Bill compie questo lavoro in modo perfetto.
Gli unici dubbi che rimangono dopo la visione dell’episodio, riguardano la misteriosa identità della creatura rinchiusa nella cassaforte, a cui il Dottore sembra essere legato. Il fatto che gli/le porti la cena e voglia passare del tempo insieme a lui/lei anche solo per distrarlo/a dalla sua prigionia, denota che c’è una buona probabilità che i due si conoscano bene, che sia il Master? O forse la sua controparte femminile, Missy? O addirittura si potrebbe trattare di Rassilon? Per avere queste risposte purtroppo dovremo aspettare ancora, nel frattempo approvo pienamente che gli sviluppi della trama orizzontale siano relegati agli ultimi minuti della puntata, perché amplificano la suspance ma ci danno il modo e il tempo di apprezzare lo sviluppo del rapporto tra Bill e il Dottore in modo leggero, accantonando, almeno per ora, la parte più oscura della longeva vita del Dottore, regalandoci una complice ilarità che un po’ mancava.
Alcune curiosità:
- La casa che vediamo in Knock Knock è la stessa che abbiamo visto nell’episodio della terza stagione Blink.
- Il titolo dell’episodio, Knock Knock, richiama il gesto compiuto dall’anziano proprietario sulle pareti della casa, ma ricorda anche il bussare che proveniva dalla cassaforte nelle puntate precedenti.
- Il Tardis durante la materializzazione può inglobare oltre alle persone anche gli oggetti.
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