L’assenza lunga un anno di Doctor Who dal piccolo schermo si era fatta sentire terribilmente. Forse molto di più rispetto al 2013, quando era andato in onda lo speciale per il 50esimo anniversario dello show.
Una lunga attesa alla quale va ad unirsi poi il momento di transizione che sta subendo la scrittura dello show ai suoi vertici.
Con questa consapevolezza si nota ancora meglio come questo Christmas Special sia in effetti l’ultimo a cui prende parte Steven Moffat, anticipando così la futura decima stagione, l’ultimo capitolo che vedrà lo showrunner impegnato a orchestrare e sconvolgere la mitologia classica dello sci-fi più longevo della storia della televisione.
Il sentore quindi che questo speciale natalizio fosse solo un pretesto per riempire un vuoto lungo un anno che ha pesato grandemente nei cuori e nei calendari telefilmici di tutti gli Whovians aveva un fondamento di plausibilità. Il rischio di trovarsi di fronte a uno Special sanza infamia e sanza lode e con un po’ di amaro in bocca era abbastanza alto.
Nonostante le riserve ragionevolmente motivate che ogni appassionato della serie inglese poteva nutrire, è bastata una manciata di minuti condita con la pungente e brillante ironia del Dottore di Peter Capaldi a far sgretolare qualsiasi diffidenza e tentennamento di capo.
Due sono state le piacevoli sorprese che ci ha regalato questo The Return of Doctor Mysterio: la tematica supereroistica e la linearità narrativa.
Il filone dei fumetti e dei supereroi è in continua ascesa sia sul grande che piccolo schermo, e gli autori di Doctor Who non potevano non cogliere la ghiotta occasione di introdurlo nello show, in un momento di pausa tra un wibbly wobbly e un potente sconvolgimento della trama orizzontale, a cui da tempo Steven Moffat ha abituato il suo pubblico.
Il timore che la scelta del tema fosse legata esclusivamente alla volontà di cavalcare l’onda della popolarità dei cinecomics era fortissima e il conseguente arricciamento di naso del tutto giustificato. Ma ci si deve ricredere non appena la trama inizia a delinearsi, per iniziare poi ad annuire con convinzione e complimentarsi compiaciuti con la furbizia di Moffat. Non è la prima volta che gioca di scaltrezza e astuzia con il telespettatore, dato che è solito introdurre nella narrazione riferimenti alla pop culture e trovare una risoluzione perfettamente plausibile e consona con le leggi che regolano la mitologia del mondo whovian, che vanno da incomprensibili spiegazioni scientifiche, a paradossi temporali, passando per intricati marchingegni alieni. Altre volte si arriva a teorizzare l’assurdo, ma ciò non ci sconvolge mai più di tanto: siamo nell’universo di Doctor Who e l’assurdo è l’ultima delle nostre preoccupazioni.
Quindi, la storia del piccolo Grant Gordon, fan di Superman, che ingerisce accidentalmente una rarissima gemma aliena in grado di concretizzare i desideri del suo piccolo ospite si incastra alla perfezione in uno scenario dove la sua stessa esistenza trova una spiegazione plausibile e accettabile, permettendo così a quelle menti diaboliche degli autori di giocare con tutti i topos caratteristici del supereroe – la doppia vita, la sfera sentimentale e quella personale, il dissidio interiore tra le due identità – non mancando l’occasione di inserire riferimenti che strizzano l’occhio all’universo MARVEL, creando una commistione tra i due pilastri della fumettistica inusuale ma ben riuscita.
Non poteva di certo sfuggirmi, fan sfegatata di Spiderman, la citazione del Dottore alla celeberrima frase che Ben Parker rivolge a suo nipote Peter. E come ogni supereroe che si rispetti, tocca a Ghost, assieme al Dottore, contrastare l’ennesimo attacco alieno.
In tutti questi anni Steven Moffat ci ha abituati ad una scrittura poco lineare tra una stagione e l’altra (ma anche tra un episodio e l’altro) e a brusche accelerazioni narrative, con tanto di risoluzione narrativa in un breve arco temporale. Rimanendo in tema, il Christmas Special di due anni fa, Last Christmas, ne è una lucida testimonianza.
Criticato da molti, osannato dai più, su un punto possiamo essere tutti d’accordo: Steven Moffat ci tiene in allenamento l’intelligenza. Il modus narrandi di Moffat ha segnato una netta linea di confine rispetto alla precedente era di Russel T. Davies, segnata dal dominio incontrastato di Tennant, nonostante la breve ma meravigliosa parentesi di Eccleston.
Steven Moffat ama giocare con ampie porzioni temporali, ama dilatare i tempi narrativi interni della storia facendo perdere gli elementi che possono fornire indizi sulla durata, sull’inizio e la fine di un determinato arco narrativo e sulla sua collocazione all’interno della macro storia più ampia. Intrecciare più fili narrativi insieme, ingarbugliarli saldamente in una matassa intricatissima e poi dipanarla a proprio piacere è la firma inconfondibile di uno showrunner capriccioso e furbo. Un genio folle che ama visceralmente il passato, che non dimentica mai di inserirlo qua e là per rendergli omaggio e per creare quel continuum tra passato, presente e futuro, tra rigenerazione e rigenerazione che rendono Doctor Who una delle serie TV più complesse e complete del panorama televisivo.
Altro elemento narrativo molto amato da Moffat è il flashback, utilizzato non solo per rendere più movimentata la narrazione ma anche per spiegare la stessa, conferendogli così quella linearità di cui accennavo sopra. Con il focus sul passato riusciamo a scoprire le origini di Ghost, il supereroe dietro il quale si cela l’identità del goffo e impacciato nanny Grant Gordon, ma è grazie alla puntualizzazione sul numero 24 che riusciamo a collocare temporalmente e ad incastrare tutti i pezzi del puzzle. Capiamo finalmente, a distanza di un anno, che il Dottore ha trascorso 24 anni su Darillum al fianco della sua River Song (il riferimento è allo speciale natalizio dello scorso anno, The Husbands of River Song), un ritorno che ha lasciato soddisfatti tutti gli appassionati, dal momento che la natura disordinata in cui avvengono gli incontri tra la figlia dei Pond e il Dottore permette maggiormente agli autori di farla riapparire all’occasione. È questo un escamotage narrativo in cui sono ingabbiati un po’ tutti i personaggi di Doctor Who, Master e Dalek in primis.
Il presente della narrazione possiamo quindi collocarlo con una certa sicurezza dopo l’addio a River, mentre poco chiaro è quando sia avvenuto il primo incontro tra il Dottore e il piccolo Grant. Va notato infatti l’abbigliamento stesso di Twelve: giacca con cappuccio come in Last Christmas nei flashbacks, camicia e giacca con interno rosso come in The Husbands of River Song nel presente. Dettagli per nulla insignificanti e che gli autori hanno collocato sicuramente per dare quel senso di continuity che spesso è mancato nelle ultime stagioni.
La trama orizzontale non subisce nessun sconvolgimento e nessuna accelerazione narrativa, ma è la trama verticale a risentirne in positivo, con la puntualizzazione sulla successione temporale degli eventi: l’invasione aliena e l’incontro con Grant/Ghost sono avvenute 24 anni dopo quella notte di Natale in cui il piccolo Grant ha ottenuto i suoi poteri. Nel mezzo, la dolce amara parentesi con River Song.
Ma non solo. I minuti finali dell’episodio ci lasciano il presentimento di un futuro ritorno di questi alieni, mentre è certo il ritorno di Nardole come co-companion, già apprezzato lo scorso anno e riconfermato questa volta come presenza molto gradita, soprattutto in vista dell’arrivo della nuova companion Bill, la quale determinerà, per volontà della situazione, uno stravolgimento dello status quo raggiunto con Clara. E ovviamente di Mr Huffle, entrato meritevolmente di diritto nella TARDIS.
Episodio carino e godibilissimo, con qualche decorazione natalizia solo nei primi minuti. Una mancanza, se vogliamo chiamarla così, assolutamente trascurabile poiché leggerezza, ironia e nuovi astuti villains da sconfiggere hanno saputo imbastire un’ora di puro e piacevole intrattenimento. Se questa è una sorta di primo assaggio di ciò che ci aspetterà in primavera, con l’inizio della decima stagione, non posso che esserne soddisfatta.
Menzione d’onore al Dottore che mangia il sushi, al diversivo creato con i Pokèmon, la scena della telefonata tra Lucy e Grant e l’interrogatorio del Dottore con Mr Huffle e Lucy che mi hanno strappato una sonora risata.