Big Man in Tehran
A meno di una puntata dal finale di stagione di Homeland entriamo nel vivo della situazione e il coinvolgimento e la tensione dello spettatore sono alle stelle, – credo di aver smesso di respirare durate gli ultimi minuti dell’episodio- ma procediamo con ordine.
Siamo a Tehran per seguire in prima persona lo svolgimento della missione di Brody. Carrie è volata in Iran per seguire il compagno e gestire personalmente il piano di estrazione per far fuggire l’ex Marine dal campo d’azione: come poteva abbandonarlo?
Seguiamo da una parte Carrie, che si reca all’albergo per poi dirigersi a casa dello zio di Fara, che ha offerto la sua casa come rifugio sicuro per l’ex Deputato; dall’altra Brody, che viene messo sotto torchio per verificare se dice il vero dagli scagnozzi di Javadi. Nonostante quest’ultimo lavori per gli americani, non esita a ricordare l’uomo tutto d’un pezzo e violento che è trattandolo duramente.
Akbari ancora non si è fatto vivo ed è necessario trovare un modo per far sì che il Capo dei Guardiani della Rivoluzione e Brody si incontrino. Majid si impegna a far sì che accada e consiglia al suo capo di presentarsi di persona di fronte al sospettato per verificare lui stesso se sta dicendo la verità o meno. Tutto è pronto, e l’arma con cui dovrà eliminare l’obiettivo gli è stata consegnata ma qualcosa va storto perché, ancora una volta, le cose non vanno come previsto.
Prima cosa: cambia il luogo dell’incontro e Brody viene scortato fino ad un’incrocio stradale che sbocca in una piazzetta nel centro della città, dove intravede da lontano Akbari che gli fa segno di avvicinarsi per poi risalire in macchina ed andarsene di fronte al suo sconcerto e a quello di Carrie, che da lontano lo sta seguendo per attuare il piano di estrazione.
Seconda cosa: assistiamo a un grande colpo di scena e scopriamo il motivo per cui l’ex Marine si trova in quella zona di Tehran, ossia perché vi è situata l’abitazione di Nassrin Mughrabi, la vedova di Abu Nazir. E subito diventa chiaro lo scopo di Akbari: usare Nassrin per sondare a fondo Brody e vedere se di lui può fidarsi. Nassrin infatti conosce molto bene Brody, il quale ha vissuto per due anni a casa sua, ed insieme sono i protagonisti di una delle scene più significative dell’episodio: i due cominciano a parlare e a scambiarsi vedute diverse circa il tema della perdita. Ed è questo che gli autori vogliono far passare al pubblico, ossia comunicare quanto Brody, ma anche Nassrin, abbiano perduto a causa delle loro azioni e ideali e quindi a causa della fede. Se da una parte Nassrin ha perso un figlio e un marito ma lo accetta, o almeno cerca di farlo, perché è il volere di Allah, dall’altra abbiamo Brody, le cui azioni compiute in nome di Allah gli sono costate una famiglia, ma soprattutto una figlia che ha tentato di uccidersi, in quanto il padre, nel quale aveva fede, le ha distrutto la vita. Il tema della fede, fondamentale in una serie in cui si parla di terrorismo, viene inteso in tutte le sua accezioni: fede in un Dio e fede in un padre.
Il primo tentativo di uccidere Danesh Akbari va in fumo. Dopo di esso, facciamo un salto temporale di sei giorni, a distanza dei quali vediamo Brody apparire nei notiziari e programmi propagandistici iraniani attaccando la politica statunitense e dicendo che l’Iran gli ha salvato la vita. Per il Senatore la situazione è chiara: Brody sta passando il suo tempo con le stesse persone che per otto anni gli hanno fatto il lavaggio del cervello ed è chiaro che sta facendo il loro gioco, passando da potenziale risorsa a grande ostacolo. In pratica, Saul deve accontentarsi di aver portato a termine solo una parte della missione, essendo riuscito a piazzare Javadi, ma non è possibile correre rischi con Brody ed è necessario eliminarlo. Saul, dopo pochissime e patetiche incertezze, non se lo fa dire due volte e acconsente senza nemmeno dirlo a Carrie, alla quale ordina di tornare a casa.
Ma si sa che Carrie possiede quell’intuito che l’ha resa un Agente della CIA con la A maiuscola e capisce subito che potrebbe esserci in ballo l’eliminazione di Brody. Così riesce a contattarlo, lo mette in guardia, e lo prega di scappare con lui in tutti i modi e ci prova con tutta se stessa, ma come lo stesso ex-Marine dice nel corso della puntata – “Sono stanco di scappare” – la risposta è prevedibile, lui non scapperà insieme a lei, certamente non le può affidare questa sorte, una vita in fuga, è troppo importante per lui. In poco tempo, alle sue spalle si presentano gli agenti che dovrebbero eliminarlo, ma lui riesce a far perdere le sue tracce e tenta il tutto per tutto recandosi da Nassrin e chiedendole un’udienza con Akbari, con la scusa di avere informazioni importanti su Javadi.
L’incontro avviene, tramite il quale scopriamo le vere intenzioni di Brody, ossia la volontà di redimersi – “I came here to redime myself” – e di dimostrare di non essere più quell’uomo a cui hanno fatto il lavaggio del cervello, capace di compiere azioni atroci e che ha distrutto la sua famiglia. È tutta una questione di redenzione e di dimostrare alle persone che ama di essere diverso. Infatti, alla fine dell’incontro Brody ucciderà Akbari e in preda al panico, essendo una cosa del tutto improvvisata, chiamerà Carrie per farsi tirare fuori da lì e da Tehran.
Così si conclude l’undicesimo episodio proiettandoci in quello che sarà il season finale. Semplicemente perfetta e ben scritta, questa puntata ci accompagna con dialoghi e incontri ben costruiti ad hoc. L’incontro/scontro con Akbari è stato perfetto, costruito come un crescendo che esplode nella volontà di riscattarsi del protagonista e gioca sul “da che parte starà Brody”, facendo leva su variabili già viste nelle prime stagioni di Homeland, quando ci chiedevamo se Brody fosse un traditore o meno. Puntata godibile in tutti i suoi aspetti.
Tornano definitivamente i livelli di tensione alle stelle a cui Homeland ci aveva abituato.
The Star
Per un vero amante delle serie tv non c’è niente in grado di suscitare sentimenti contrastanti quanto un season finale. Se da una parte c’è il desiderio di trovare le risposte alle domande che durante la stagione ci siamo posti, dall’altra c’è la paura di essere delusi, seguita dalla tristezza di dover salutare i personaggi. È un processo naturale che colpisce tutti noi, che siamo disposti ad ammetterlo oppure no.
Questo viene naturalmente intensificato quando la serie in questione è, a tutti gli effetti, un vero e proprio addio ad uno dei personaggi di punta.
Come confermato dello stesso Alex Gansa, showrunner della serie tv, The Star è molto più vicino ad un series finale di quanto tutti noi ci saremmo aspettati e a maggior ragione la sua visione lascia dentro tutti noi un vuoto davvero difficile da riempire.
La puntata si riapre esattamente dove l’avevamo lasciata alla fine dell’undicesimo episodio, con Brody nell’ufficio del Generale Danesh Akbari, intento a camuffare le evidentissime tracce dell’omicidio a sangue freddo che ha appena compiuto.
L’adrenalina dei primi minuti, mentre seguiamo Brody nel tentativo di lasciare l’edificio, è accompagnata da quel terribile sesto senso che ci preannuncia che qualcosa di terribile sta per accadere.
Anche quando Carrie riesce a portarlo nel rifugio fuori da Teheran non riusciamo a tirare un sospiro di sollievo. La scuola di Homeland ci ha insegnato a non abbassare mai la guardia e, dopo essere caduti nel tranello che ci hanno teso durante le prime puntate di questa terza stagione, non ci facciamo cogliere impreparati; sappiamo fin troppo bene che non ci si deve mai rilassare.
A rendere ancora più palese l’arrivo di una catastrofe è la bomba lanciata da Carrie: la confessione di aspettare un figlio da Brody. Per quanto ho sempre odiato la storyline della gravidanza, l’amore che trabocca dal dialogo dei due non ha fatto altro che darci la conferma che l’inevitabile stava per accadere.
Ancora una volta il duo Danes-Lewis ci ha regalato delle scene dall’intensità emozionante con un dialogo che al suo interno racchiude tutta l’essenza della coppia Brody-Mathis.
Carrie: “Ascolta, non so cosa succederà a casa. Che tipo di vita avremo, se staremo insieme oppure no… ma ci sarà una vita. E non mi dispiace per niente, nemmeno per un secondo. Perché voglio credere di essere su questa Terra per incontrare te e… sì, lo so che sembra una teoria folle”.
Brody: “Hai finito?”
Carrie: “No… Sì!”
Brody: “Perché non penso assolutamente che sia una follia. Credo sia l’unica cosa alla quale aggrapparmi.”.
Certo, questo non significa che realmente ci saremmo aspettati una virata di rotta così drastica, per quanto non improvvisa. Analizzando con il senno di poi l’intera terza stagione, una vera e propria redenzione per Brody era impossibile. Poco importano i sacrifici e gli atti eroici che ha compiuto, agli occhi sia degli americani, che degli iraniani, lui è un traditore. Lo è agli occhi degli americani, così come a quelli degli iraniani è un nemico dello Stato. Non vi è luogo nel quale verrà mai accolto e, di conseguenza, l’unica tranquillità che potrà mai avere sarà quella del sonno eterno. “In quale Universo puoi redimerti da un omicidio, commettendone un altro?”
Ma non si tratta solo di questo. Brody, agli occhi della CIA, non è altro che una pedina sacrificabile ai fini della riuscita della missione. Missione che non si è conclusa con la morte di Akbari ma, appunto, con la morte di Brody.
La stessa Carrie, che di solito avrebbe smosso mari e monti pur di salvare la vita di Brody, si arrende a questa decisione capendo che è purtroppo inevitabile.
Javadi: “Altrimenti? Che cosa farai, Carrie? Brucerai tutto? Tutto quello per cui hai lavorato? E non dico quello che hai fatto per la CIA, intendo proprio te. Il piano è un successo. Tu e Brody ce l’avete fatta”.
Carrie: “Non se lui muore”.
Javadi: “Soprattutto se lui muore. Continuo a chiedermi, da quando ho saputo tutto quello che hai passato, la difficoltà, l’abnegazione per attirarmi, perché? Perché una persona farebbe mai una cosa simile? Perché lo hai fatto? E ora credo di saperlo. Si è sempre trattato di lui. È questo che ti importa, forse è l’unica cosa che ti importa. Chi Brody realmente è, lo può sapere solo Allah, ma quello che ha fatto non si può mettere in discussione. È stata una cosa stupefacente e innegabile e quello che volevi, che tutti vedessero in lui quello che ci vedi tu, si è avverato. Ora tutti lo vedono attraverso i tuoi occhi. Saul, Lockhart, il Presidente degli Stati Uniti. Perfino io”.
La morte di Brody, nel giro di una manciata di minuti, diventa da temuta a praticamente obbligatoria.
Il personaggio interpretato da Damian Lewis è stato spremuto fino al midollo, passando da marine a prigioniero, traditore, deputato, capro espiatorio, arma segreta, asset ed è arrivato il momento di dargli il degno saluto, prima che diventi la macchietta di se stesso.
“The Star” non è di certo un episodio perfetto ma è la degna conclusione di una stagione piena di alti e bassi che, nella sua imperfezione, ha un impatto emotivo così grande da oscurare tutto il resto.
E’ evidente che con la morte di Brody c’è la fine di un’Era; da qui Homeland non sarà più la stesso e la cosa, sinceramente, mi spaventa. Certo è che, dopo una terza stagione che ha faticato così tanto ad ingranare, una conclusione simile era quasi d’obbligo, ma non per questo mi dichiaro meno preoccupata. La terza stagione è stata la prova schiacciante che Homeland funziona solo quando entrambi i suo co-protagonisti sono presenti e ora che hanno dimezzato i cavalli di questo motore, non so quanto potranno andare lontano.
Girando per il web ho letto teorie su teorie che spiegano nel dettaglio come è possibile che Brody sia ancora vivo nonostante impiccato. Bene, vi confesso che state parlando con una persona per la quale la fase della “negazione” dura per anni interi. Anche dopo aver visto la testa mozzata di Ned posta in bella vista sulle mura della città, ero fermamente convinta che ci fosse il trucco quindi sono sempre la prima la crogiolarsi su queste teorie fantascientifiche che prevedono la salvezza anche da morte certa. Ma appunto, è fantascienza. Troverei estremamente ridicolo ritrovare Bordy vivo e vegeto nella quarta stagione.
Gli ultimi venti minuti, dedicati ai “4 mesi dopo”, sono resi sopportabili solo dall’aggiunta a mano da parte di Carrie della stella in onore di Brody, altro eroe silenzioso d’America.
Per il resto, sono così tanto inutili da non riuscire neppure ad impiantare le basi sulle quali costruire questo Homeland 2.0.
Quindi, con un mood altalenate e ancora in fase di elaborazione, rigiro a voi la domanda che io mi sto facendo da una settimana intera: Homeland senza Brody ha qualche speranza di futuro?
Vi ricordo di passare da Homeland Italia e vi do appuntamento al prossimo settembre.