Si torna nel selvaggio West. Eh sì le nostre “Legends” si ributtano nel più classico degli episodi cuscinetto utilizzando le atmosfere west e il personaggio di Hex, che abbiamo avuto il piacere di incontrare nella stagione 1. Non ci sarebbe granché da dire, se non fosse per le tematiche toccate nell’episodio che come al solito si frammischiano fra memorabili risse da Saloon e pistoleri da baraccone.
Partiamo dal rapporto fra la nostra adorata neo Capitano Lance e lo stesso Jonah Hex. Per un uomo rude del west, vedere una donna che comanda a bacchetta uomini grandi e grossi è quasi più strano della Waverider. Sara però, come sappiamo, non è una donna come tutte le altre. Il suo percorso di maturazione, cambiamento e presa di coscienza delle sue doti continua fin dai tempi di Arrow.
Il bello di queste serie concatenate è proprio questo. Puoi vedere la maturazione e la crescita dei personaggi saltando da una serie all’altra, ma nel contempo puoi anche non vederle tutte per apprezzare comunque lo stesso personaggio anche se lo hai visto solo in Arrow o solo in Legends of Tomorrow. Sara quindi è una donna atipica, se mi passate l’espressione, che non vuole essere offensiva. Lei è davvero passata dalla morte alla vita, dalla più bassa condizione all’elevazione a capitano. Nessun personaggio, tranne Oliver Queen e in parte Barry Allen, può vantare l’esperienza e la capacità di soffrire di Sara Lance.
Infatti impiega molto poco a far capire a Hex che c’è un motivo per cui, pur avendo due belle gambe, ella sia anche in grado di comandare il manipolo di “disadattati” che compongono il nostro amato team. Lo fa perché in lei c’è una forza e una capacità che altri non hanno ancora acquisito. Nessuno, nemmeno il professor Stein, è stato capace di reggere quel ruolo. Ci voleva una persona capace di prendere le giuste decisioni, anche quelle pesanti e difficili, una persona che avesse vissuto non uno, ma mille inferni e questa persona non poteva che essere Sara Lance.
Altro tema ormai abbastanza di routine è questa contrapposizione fra eroe e uomo, fra superpoteri ed eroismo. Questo sembra un po’ la chiave di volta delle amabili chiacchierate fra Ray Palmer orfano di corazza e Nate “The Steel” . Ancora una volta si sottolinea come l’essere dotati di superpoteri non rende eroi, ma soprattutto se ti sparano pallottole di stella nana, è meglio che ti scansi invece di fare lo sborone.
Battute a parte, questo insistere su questa filosofia mi fa pensare che presto o tardi tutto questo parlare, tutto questo argomentare quasi peripatetico (nel senso che lo fanno camminando), finirà per avere uno sbocco narrativo del quale però ignoro il fine ultimo.
Nat pensa che l’essere diventato d’acciaio lo metta su un piano diverso rispetto al Nat di prima, quello sfigato con le ragazze (no scherzo) e secchione a scuola. In fondo che bisogno hanno gli eroi di studiare, di conoscere? Vanno, rompono qualche grugno e via a festeggiare con la bella appena salvata. Ray invece lo convince che essere eroe, essere pronto all’estremo sacrificio, è una componente fondamentale di un grande uomo a prescindere dal fatto che si abbiano o meno i superpoteri.
Persino fare un’armatura, un costume, può rappresentare una civetteria, un qualcosa da vedere in prospettiva, però a pensarci bene, quando si indossa un costume, una maschera, si rinuncia un po’ a se stessi. Si diventa non più semplici cittadini seppur dotati di particolari capacità, si diventa dei simboli, e da sempre la gente ha avuto bisogno di simboli in cui credere, in cui vedere speranza e forza. Il costume che Ray costruisce per Nat Heywood risponde un po’ a quanto detto finora. Dopo aver acquisito i poteri, è diventato adesso un eroe e presto sarà leggenda.
Altra interessante analisi è quella fra la bellissima Vixen e Mick Rory. Amaya sembra faticare a comprendere la personalità di Mick, un uomo che è incapace di controllare l’anima selvaggia che lo pervade. Da sempre un battitore libero e un ladro, egli ha quasi paura di calarsi completamente in un ruolo come quello che il destino gli ha riservato. La chiave di volta però è stata ben studiata dagli autori che mettono in relazione l’istinto animale di Mick e la capacità di Amaya di diventare qualunque animale. Lei è capace di dominare lo spirito di diversi animali e chi meglio di lei può comprendere il tormento del nostro HeatWave?
Si fa fatica a catalogarlo proprio perché lui non vuole etichette, non gli importa essere eroe o leggenda, lui vuole essere solo fedele al suo personaggio, alla sua anima, alla sua vera radice. Vive come un animale in gabbia? Forse sì, forse tornando indietro nemmeno sarebbe salito su quella navicella. Mick preferisce stare per conto proprio a lucidare i suoi ferri del mestiere e a vivere nel ricordo dell’amico scomparso.
L’unica nota interessante di un episodio del genere, e che vale la pena di accennare, è questo strano flashback che il professor Stein sta avendo seguito da forti dolori alla testa. Il futuro è stato in qualche modo cambiato e tenta di inserirsi nella mente del nostro Prof? Difficile dare una risposta, ma trovo l’elemento davvero interessante per il proseguimento della serie.
Tutto questo per farvi capire che da un episodio persino offensivo per la sua estrema semplicità di sviluppo, si possono ricavare interessanti spunti sull’evoluzione dei personaggi. Adesso prepariamoci per il gigantesco Cross Over.
Passo e Chiudo.