Living With Yourself è una nuova serie tv targata Netflix con protagonista Paul Rudd nei panni di Miles Elliot, un uomo scontento della sua esistenza, che decide di sottoporsi a un trattamento Spa che promette di renderti la ”versione migliore” di te stesso, scoprendo solo in seguito, che in realtà quello che fanno nella Spa è sostituirti con un clone migliore di te.
Living With Yourself ha pregi e difetti. Sicuramente non è un capolavoro cosi come, allo stesso tempo, non è un prodotto scadente.
Alcune dinamiche non sono affrontate nella giusta maniera. Colpa del poco tempo a disposizione (8 episodi, da meno di 30 minuti l’uno).
Per questo motivo infatti, alcuni personaggi potevano essere evitati come ad esempio la sorellastra di Miles che compare nei primi episodi, e pian piano resta lasciata in disparte.
Si poteva invece dare maggior spazio a personaggi più importanti come ad esempio, alla moglie di Miles, Kate, che, causa mancanza di tempo, non risulta importante come dovrebbe.
Le sue reazione risultano forzate con il solo scopo di mandare avanti la trama.
Sono ottime invece le scene che la mostrano prima della clonazione del marito; piena di voglia di vivere e pronta a mettere su famiglia.
Non sono chiare invece le dinamiche che portano i due ad allontanarsi.
Infatti non ci viene raccontato cosa porta Miles a essere infelice, triste e senza stimoli lavorativi e privati.
Un altro personaggio importante in Living With Yourself, ma lasciato in secondo piano, è Dan, un collega di lavoro di Miles.
E’ lui che consiglia la Spa al nostro protagonista e avrebbe meritato più spazio nella serie, visto che lui stesso aveva già subito il trattamento.
Il suo personaggio invece è gestito malissimo. La sua storyline rimane ferma per diverse puntate e ripresa solo nel finale.
E anche nel finale, la sua reazione risulta essere finta, non umana e lasciata li forse per essere ripresa in una ipotetica seconda stagione.
Come detto ci sono anche cose positive in Living With Yourself, come ad esempio la gestione dei due protagonisti, che è fantastica.
Il ”vecchio” Miles, sa di aver commesso un errore nell’andare alla Spa e cerca di risollevare le cose facendosi dare una mano dal ”nuovo” Miles.
Sia a lavoro che con Kate, il ”nuovo” Miles si dimostra migliore del ”vecchio” Miles.
Il ”nuovo” Miles invece lo aiuta perché convinto che quella sia la sua vita, e che lui, ovvero il ”vecchio” Miles, non la meriti.
Ricorda tutti i bei momenti passati con la moglie, anche se sa bene di non essere stato lui a viverli. Si sente sposato e innamorato di Kate, anche se sa bene di non esserlo mai stato. Per questo non riesce a costruirsi una nuova vita lontano da tutti.
Mi è piaciuta molto anche la scrittura degli episodi non lineare, ma con continui flashback, che ti fanno vedere la realtà da diversi punti di vista che si intrecciano tra di loro.
Gli sceneggiatori lasciano piccoli indizi durante gli episodi come ad esempio, una notifica sul telefono, lasciata lì in sospeso fino a quando il punto di vista della realtà non cambia.
Questa però è l’unica cosa positiva di una sceneggiatura inconcludente e che non sa dove andare a parare. Come detto i personaggi sono approfonditi poco e la trama risulta piatta.
Living With Yourself non sa bene cosa mostrarti. Vuole raccontarti un dramma ma ha poco tempo a disposizione per costruirlo. Prova quindi a farti ridere, ma raramente ci riesce. E anche quando lo fa, lo fa perché è bravo Paul Ruud, e non per una buona sceneggiatura.
Vuole spiegare che anche una ”versione migliorata” di te non è unica quanto lo sei tu. Ma fallisce anche in questo, in quanto il ”vecchio” Miles non riesce a risollevarsi senza l’aiuto del suo clone.