Cosa succede quando un artista di fama mondiale rientra nel suo paese natale dopo tanto tempo? Dopo un tour nelle principali capitali latino-americane, è giunta l’ora per l’orchestra di fare tappa a Città del Messico. Un ritorno per Rodrigo che è prima di tutto sensoriale: mangiare tapas di pesce per poi vomitare, la scena resa meno cruda dalla variopinta composizione floreale del piano che diventa la protagonista scenica assoluta. Parlare nella propria lingua madre, che non viene più sottotitolata come una strana allucinazione, ma che diventa parte del quotidiano, sullo stesso piano della lingua inglese.

Per gli altri componenti dell’orchestra quest’immersione sudamericana è prevalentemente costellata di stereotipi. Anzi, si può dire che quest’episodio sia un concentrato dei luoghi comuni che gli americani hanno dei messicani. Codici della strada infranti, uomini e donne dai vestiti e dai comportamenti vistosi, un desiderio completamente materialista e godereccio di sperimentare la vita. L’apoteosi, tuttavia, la si ha con un liutaio fotocopia di Pitbull, che realizza e smercia i propri violini in un sobborgo dalla dubbia reputazione.

Hailey ci viene restituita in un ruolo di transizione: non completamente adagiata nel godimento che stanno provando gli altri componenti perché deve temporaneamente fare le veci dell’assistente di Rodrigo, dato che quest’ultimo non rinnova il passaporto da quando era bambino (almeno, a giudicare dalla fototessera che si intravede per un attimo), ha principalmente la funzione di sostenere Rodrigo in questo rientro. La prova emotivamente più difficile per lui è affrontare il palco del teatro dove cercava di infilarsi di nascosto da piccolo, rivedere il suo primo, fondamentale maestro. Se lo chiamano rey, però, ci sarà un motivo: e infatti passa brillantemente la prova pur non vedendo il maestro nel palco a lui riservato. Tutto si dissolve come una notte d’estate dopo i bagordi serali, come una bolla di sapone che esplode senza avvertire e senza far rumore.