Person Of Interest – Recensione 5×10 – The Day The World Went Away

La quarta stagione di Person of Interest mi aveva lasciato con non pochi dubbi e con poca fiducia per il futuro della serie. La storia mi sembrava essersi arenata, la narrazione non mi sembrava più fresca come quella di un tempo, eccetto pochissimi lampi, e al tempo pensavo che gli sceneggiatori si fossero infilati in qualcosa più grande di loro, che non sapevano più come gestire.
Ora invece, arrivati alla centesima puntata di questa stupenda serie e a sole tre puntate dalla fine, ogni dubbio è stato rimosso e Person of Interest sta riuscendo in quello in cui la sua ormai diretta rivale e, anche, più vicino termine di paragone Fringe, ha fallito: offrire un’ultima stagione degna di nota, che ci lasci un bellissimo ricordo di questa serie e di questi personaggi, e non ci faccia invece desiderare che l’agonia finisca al più presto.
L’unico pericolo sembra quello del finale di serie, lo scoglio più arduo in quanto, come ben si sa, tutti i finali di tutte le grandi hanno quasi sempre diviso o deluso; gli autori dovranno riuscire in quest’ultima impresa, ma la strada intrapresa con quest’ultima stagione sembrerebbe essere proprio quella giusta.
Come detto questa è stata la centesima puntata, la puntata in cui si è finalmente deciso di spingere nuovamente sull’acceleratore per portare al termine la storyline della serie, la battaglia fra le due divinità, e adesso a tutti gli effetti si può parlare di una vera e propria guerra, una sorta di guerriglia urbana, sebbene dall’esito finale ne dipenderà l’intero destino dell’umanità, in cui chiunque da un momento all’altro potrebbe morire.

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Sin da quando lessi per la prima volta il titolo della puntata “The Day The World Went Away“, capii che di sicuro non ci saremmo dovuti aspettare nulla di buono da quella puntata, ma gli autori riescono lo stesso, nonostante un titolo così premonitore e così drammatico, a dar vita ad una puntata che stende lo spettatore psicologicamente e fisicamente, una puntata maestosa e adrenalinica da un lato, ma dall’altro incredibilmente drammatica e straziante.
The Day The World Went Away è quel momento in cui un fulmine a ciel sereno dà inizio all’ultima tempesta, la peggiore, che porterà via con sé tante vittime, già con questa puntata.
Sin dall’inizio lo spettatore è ancora una volta avvertito da Finch, il quale anticipa che “some very bad things are coming”, tuttavia lo spettatore mai potrebbe immaginare che forse proprio l’ultimo potenziamento apportato a Samaritan ha permesso alla terribile IA di individuare Finch nonostante la sua copertura, e quindi ad inizio puntata un telefono di una cabina pubblica sarà costretto a dare il suo numero a John.

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Finch continua a non voler affidare troppo potere alla Macchina, e se l’errore per cui viene scoperto è di per sé perdonabile, in quanto sappiamo quanto lui ami ancora Grace e quanta nostalgia provi nei suoi confronti, quest’ultimo è invece imperdonabile, perché le conseguenze saranno a dir poco irreparabili e devastanti, e, forse, tutte le sciagure alle quali assistiamo in questa puntata potevano essere evitate se Harold avesse deciso in precedenza di dar retta alla povera Miss Groves.

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La puntata procede su ritmi altissimi ed è bellissimo nei primi minuti vedere come Elias decida di scendere nuovamente in campo per far di tutto pur di proteggere Harold, che più di una volta l’ha salvato. Anche in questo si può notare come Person of Interest sia una grandissima serie, infatti non ha avuto semplicemente dei cattivi che potessero essere sfruttati per avviare delle storyline più o meno lunghe, ma ha dato vita a dei personaggi ben più complessi e li ha potuti portare avanti, proprio per questo motivo, dalla prima all’ultima stagione, senza mai farli risultare inutili o superflui; ogni personaggio di questa serie è risultato sempre utile, con una sua finalità, perfino il meno riuscito Dominic.
Elias è un cattivo dai valori solidissimi, che ha imparato ad apprezzare con il tempo l’operato di persone che lavorano dall’altro lato della barricata: prima la Carter, una poliziotta che gli aveva salvato la vita, e che lui vendicherà, essendo l’unico che può farlo; poi con Reese e Finch, che da sempre ha comunque rispettato e ha avuto in simpatia, ma con il tempo il loro rapporto è diventato una vera e propria collaborazione fra amici, che pur avendo visioni diverse del mondo e degli affari, talvolta hanno collaborato fra di loro e si sono dati una mano per salvarsi la pelle a vicenda.
Non c’è tempo tuttavia in questa puntata per piangere i morti, in quanto i nostri sono costretti a scappare continuamente dagli operativi e non si possono fermare neanche per un attimo, così si arriva ad una delle sequenze che più ci ricorderemo di questa puntata: l’inseguimento fra il SUV con la gatling e l’auto di Finch e Root.

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Nelle ultime puntate in particolar modo si è potuto notare come Person of Interest sia una delle ultime serie ad alto budget in circolazione, infatti fra sparatorie, inseguimenti ed esplosioni, avranno speso sicuramente un bel gruzzoletto soltanto nelle ultime due puntate.
Tornando nel dettaglio, la scena dell’inseguimento è una delle più adrenaliniche in assoluto, ma anche un pochino sopra le righe, una scena che solitamente è più facile trovare in un prodotto cinematografico piuttosto che televisivo, ma comunque diretta e montata con una grandissima maestria, e che, forse, al di là delle morti, dà l’idea più di tutte le altre di quanto la situazione stia degenerando.
In The Day The World Went Away, una puntata action-packed come poche, c’è pochissimo tempo perfino per i dialoghi, sempre ben scritti e ricchi di messaggi e riflessioni – come Root, che in questa puntata finisce quasi per sembrare un pozzo di filosofia – ma finiscono per essere ridotti all’osso essenziali. Non essendoci un attimo di quiete, spesso devono essere inseriti perfino nei conflitti a fuoco o in delle situazioni effettivamente inopportune: questo risulta essere l’unico tentativo da parte degli autori per stemperare un pochino, non tanto la tensione, quanto la drammaticità di questi eventi che scorrono sullo schermo e travolgono lo spettatore come un fiume in piena.
La puntata alla fine però verrà ricordata principalmente per le morti, infatti non solo ci saluta per un’ultima volta il buon vecchio Elias, che comunque avevamo già salutato lo scorso anno con più dispiacere, vista la morte non proprio all’altezza, ma soprattutto questa è l’ultima puntata in cui vedremo l’amatissima Samantha Groves.

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Era chiaro probabilmente sin dall’inizio di questa guerra che prima o poi questo momento sarebbe giunto, anche se tuttavia con il tempo si era quasi radicata la certezza che Root sarebbe stato uno dei pochi personaggi ad arrivare fino alla fine. Root era infatti la persona che più credeva in questa battaglia, e l’unica che sin dall’inizio avrebbe dato la sua vita per salvare la Macchina si sacrifica per proteggere Harold, la persona che più apprezzava ed ammirava al mondo, il creatore della sua divinità; ma la sua morte risulta essere per lo spettatore il vero e proprio colpo del KO, che lo distrugge interiormente e gli toglie quasi ogni speranza.
In quel momento in cui viene inquadrato il cadavere di Root con accanto Fusco lo spettatore è distrutto, riceve un pugno nello stomaco di una incredibile violenza, non tanto per la morte in sé, ma per come quest’ultima viene servita: non ci viene mostrato il momento della morte, ma si intuisce che Root sia morta sola, senza nessuno dei suoi amici accanto, senza nessuno che, almeno nel corso di questa puntata, possa fermarsi e versare delle lacrime per lei, senza nessuno che possa commemorarla; il livello di drammaticità e di sconforto è ancor maggiore se si pensa che poco prima Root aveva affermato di essere stata sempre sola, ma che finalmente si sentiva parte di un tutto e aveva degli amici.

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Non siamo più in tempo di pace come con Carter e neanche in una fase di transizione nella quale il team aveva subito la perdita di Shaw. In guerra si rischia di morire soli e purtroppo non c’è neanche il tempo per piangere e leccarsi le ferite.
D’altro canto però Root aveva anche detto che a suo giudizio le persone che sono morte continuano a vivere fra di noi, all’interno di altre persone e con il loro ricordo, e gli autori ci fanno sciogliere in una valle di lacrime nel momento in cui Finch, alzando la cornetta del telefono, non sente più la voce meccanica della Macchina, ma la voce di Root, che la Macchina ha scelto come persona che la possa rappresentare.
Root dunque continua a vivere proprio all’interno della Macchina, che decide di scegliere lei l’unica persona che non la vedeva come una semplice “macchina”, ma come una creatura, o ancor di più una divinità, quella che più di tutti le voleva bene, la amava e che aveva fede in lei.

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Portati al limite da dei livelli di drammaticità che Person of Interest non aveva mai toccato prima d’ora, alla fine lo spettatore si lascia andare al sorriso e al pianto.
Infine è da sottolineare anche la sequenza chiave e probabilmente la chiave di volta di tutta la guerra che tanto attendevamo, che sembrerebbe poter essere l’emergere del lato oscuro di Finch: egli, come lo spettatore, è portato all’estremo, ad un punto di rottura, è stufo di veder morire intorno a sé tutte le persone a cui vuole bene, soltanto perché è rimasto convinto per tutto questo tempo che rispettando una giusta morale prima o poi avrebbe vinto, capisce che con le buone maniere in guerra non si va da nessuna parte ed è deciso a distruggere una volta per tutte Samaritan e tutto il sistema che gli ha dato vita.
Michael Emerson in questa scena è maestoso, ipnotico, ed anche inquietante quando lascia affiorare quest’animo spietato che aveva tenuto sotto controllo finora e speriamo che gli autori siano altrettanto bravi nel trattare questo cambiamento, che va gestito con le pinze.

The Day The World Went Away è dunque una puntata magnifica, diretta, scritta, montata ed interpretata, da Amy Acker, e in particolar modo da Michael Emerson, magistralmente, ma l’aggettivo migliore per descriverla tuttavia è straziante, questo era l’obiettivo degli autori con questo episodio: togliere ogni speranza, catapultarci in una situazione sempre più oscura, disperata, una situazione in cui anche una vittoria finale risulterebbe in fin dei conti una sconfitta pensando a quello che si è perso, riprendendo in parte le parole della Macchina nella prima scena di questa stagione.
Person of Interest con queste due puntate, insieme alle due iniziali della stagione, è tornato ad alti, altissimi livelli, a sfiorare la perfezione, come nel corso della sua terza stagione. Speriamo che anche quando si tireranno le somme dopo il finale non ci si potrà lamentare assolutamente di nulla.
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About Giovanni

Giovanni
15 anni , vivo a Roma faccio il liceo classico , sono al terzo anno e fra la scuola e i compiti riesco a ritagliarmi quel poco spazio di tempo che basta per seguire le mie passioni che sono le serie tv , il cinema e i videogiochi per cui ormai a causa degli impegni rimane davvero poco tempo . Le serie tv che mi hanno colpito di più sono Dr.House , Fringe (la mia preferita) e Person of interest . Per quanto riguarda il cinema guardo tutti i generi di film non ne ho uno preferito , anche se adoro in particolare i film di Nolan . Leggo anche quando ho tempo e anche perchè nel periodo scolastico non mi prende troppo di leggere , quando trovo i libri che mi piacciono li divoro , ma non li trovo molto facilmente.

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