Hail and Farewell, penultimo episodio della seconda stagione di Shadowhunters, si concentra essenzialmente sugli aspetti politici dello Shadow World, in particolare l’eterna contrapposizione fra cacciatori di demoni e Nascosti, espressione di un’ostilità che gli Accordi non sono riusciti a placare.
Complice l’intervento della Regina Seelie, che nella sua duplice versione di adulta e bambina riesce a trasmettere la giusta idea di bellezza e letalità, vampiri, licantropi e fate sono più vicini che mai a rompere la pace con gli Shadowhunters pur di catturare Valentine e Jonathan; sebbene possa far mal al cuore vedere Magnus e Luke “separati” rispettivamente da Alec e Clary, l’espediente, innovativo rispetto a quanto letto nei libri, funziona bene nella misura in cui riesce a mostrare appieno come la razza, quando le si dà un’importanza eccessiva (come fanno gli Shadowhunters, che mai riconoscono ai Nascosti una piena parità), possa causare divisioni e disordini.
Com’era già immaginabile a coloro che hanno più familiarità con il mondo di Cassandra Clare, Valentine interviene nel finale a rimescolare le carte in tavola, offrendo alla Regina un qualcosa di non ancora definito che lei brama particolarmente e per il quale è pronta a rovesciare la sua lealtà – se mai di lealtà si possa parlare quando sono coinvolte le fate. Nella saga letteraria, il suo voltafaccia giungeva per mezzo di un’alleanza con Jonathan e, soprattutto, avveniva molto più in là nella storia; se da un lato sono curiosa di vedere cos’hanno inventato gli autori, dall’altro ciò non mi fa ben sperare per il futuro della serie: infatti, se da un lato il mescolarsi di eventi e piani temporali rispetto ai libri è un normale frutto del voler dare allo show una sua personale impronta, com’è giusto che sia, dall’altro la sempre maggiore autonomia che ciò conferirebbe agli autori, se non gestita con sapienza, potrebbe risolversi in soluzioni narrative grossolane e semplicistiche, che tradirebbero l’essenza stessa del materiale fonte.
Già in questo episodio, ad esempio, la scena nel parco con Valentine e Jonathan presentava una pecca: in pieno giorno, non solo Morgenstern senior gira con un’enorme spada in spalla, ma lui ed il figlio vengono subito dopo raggiunti da un branco di licantropi pronti a dar battaglia, il tutto in una zona popolata da Mondani, ai quali lo stesso Valentine rivolge la parola (e così cade la mia ipotesi che, almeno lui, si fosse avvalso di una runa dell’invisibilità). Sono errori apparentemente dozzinali, ma che comunque tradiscono una poca cura dei dettagli, che non appartiene assolutamente all’attenta mitologia disegnata dall’autrice.
Per quanto riguarda il resto dell’episodio, continua a spiccare il personaggio di Simon per l’ottima resa fattane da Alberto Rosende, che riesce a conferirgli la giusta dose di interessi geek da un lato ed orgoglio e coraggio dall’altro; all’Istituto, invece, cominciano ad emergere i primi tradimenti interni. Sebbene la storyline così come immaginata sia ben fatta, non riesco a non trovare poco credibile che tutte le operazioni, non solo a livello decisionale ma anche materiale, vengano svolte sempre e solo da Jace, Clary, Isabelle ed Alec, che sono comunque estremamente giovani. Capisco la necessità di dedicare molto screen time ai protagonisti, ma, essendo gli Shadowhunters un vero e proprio esercito, sarebbe bello vederli agire in numeri o comunque all’interno di una gerarchia meglio definita.
In sostanza, Shadowhunters con la seconda stagione ha compiuto un enorme salto qualitativo, che era assolutamente necessario per risolvere le grossissime problematiche del passato; ad oggi, continua ad intrattenere chi si relaziona allo show senza troppe pretese, ma c’è ancora una lunga strada da fare per rendere veramente giustizia alla storia. La speranza è che sia gli autori che il cast continuino a lavorare con la solerzia dimostrata finora, cosicché, magari nella prossima stagione, vedremo dei frutti ulteriori di questo loro impegno.
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