Questo settimo episodio di Shadowhunters segna un netto miglioramento rispetto alla sufficienza piena raggiunta finora, probabilmente anche grazie ai maggiori riferimenti al libro.
Infatti, “Salt in the Wound” mostra finalmente l’intero gruppo al lavoro – a parte, per ovvie ragioni, Jace –, tutti uniti dal medesimo obiettivo e disposti ad infrangere per amore quella “dura lex, sed lex” cui sono stati educati. Ritorna anche, seppur per un brevissimo momento, l’amicizia fra Simon e Clary, troppo a lungo trascurata, così come il legame parabatai fra Jace ed Alec, che, sebbene i due abbiano condiviso un esiguo numero di scene in quest’episodio, si è comunque percepito in tutta la sua forza quando il giovane Lightwood ha abbracciato una Clary in lacrime e ammesso che lui avrebbe preso la stessa decisione.
Menzione d’onore anche alle scene svoltesi nel covo di Lilith, dove finalmente compare il sale conseguente all’attivazione del marchio biblico che presto ci verrà spiegato, e quelle ad Alicante, dove Freeform conferma l’aumento di budget per la CGI dello show e ci regala una bella panoramica notturna delle torri anti-demoni che sono simbolo della capitale di Idris.
Dall’altro lato, altrettanto convincente è la scoperta della vera identità di Kyle, o meglio Jordan, e la narrazione mediante flashback della sua passata relazione con Maia: pressoché identica alla versione letteraria (e forse per questo è così convincente), Chai Hansen e Alisha Wainwright hanno immediatamente chimica sullo schermo e fanno ben sperare per il prosieguo di questa particolare storyline.
In sostanza, questo episodio di Shadowhunters mi ha convinto più degli altri e questo risultato è frutto di due fattori. Innanzitutto la maggiore vicinanza alla trama letteraria, cui tengo particolarmente non per pura fedeltà agli scritti di Cassandra Clare, ma perché l’autrice ha costruito l’intero Shadow World con un lavoro di perizia e cura sviluppatosi oltre i tre libri di The Mortal Instruments, quindi riuscire ad eguagliarlo creando trame alternative non è facile; in secondo luogo, “Salt in the Wound” si è concentrato solo su due grandi storyline, quella che ha visto protagonisti gli Shadowhunters e quella parallela di Simon/Jordan, riuscendo a farle interagire nei tempi e nelle dosi più adeguati. Meno carne sul fuoco e più interazione fra i personaggi principali dello show, sono queste le basi sulle quali la serie può davvero pensare di crescere.
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