‘Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni.
Gesù, ma chi li ha?’
L’amicizia, assieme alla famiglia, è uno dei perni fondamentali attorno ai quali si snoda tutta l’esistenza di un essere umano. Ci sorreggono, ci aiutano a rialzarci quando cadiamo, ci offrono un rifugio sicuro in cui ritrovarsi per piangere, ridere o chiedere aiuto.
Ci offrono una casa intesa non solo come una mera costruzione di mattoni e cemento, ma principalmente una dimensione, uno state of mind in cui ritornare per essere amati davvero, per essere compresi, accettati e voluti.
Perché casa non è solo dove, ma soprattutto un chi.
Si spiega così la citazione iniziale a Stand by Me, non solo per i numerosi richiami al film capolavoro ed emblema degli anni 80 che troviamo disseminati in ogni frame di Stranger Things, ma specialmente per l’incredibile percorso di crescita interiore che ha visto protagonisti i quattro amici in quei due giorni lontani da casa.
Con i gloriosi anni 80, Stranger Things ci delizia gli occhi a più livelli, a partire dalla moda in voga in quel periodo, caratterizzata dai Levi’s jeans a sigaretta, Converse consumate e capelli acconciati con generose quantità di lacca.
Tutta l’ambientazione ha il sapore dolce amaro della nostalgia, quella malinconica che fa venire il magone alla bocca dello stomaco e scendere lacrime commosse per gli anni più belli in cui tu hai avuto la fortuna di vivere, o per lo meno di assaporare gli ultimi scintillanti colpi di coda.
Ma ad essere rievocate non sono solo le mode tipiche, ma soprattutto i grandi classici del cinema che hanno contribuito a rendere ancora più memorabili e immortali quegli anni. Tornano i riferimenti a ET, ai Goonies e a Stand by Me, ma l’ambientazione cupa e misteriosa si arricchisce di nuovi e importanti contribuiti, per i quali si va ad attingere nel capolavoro della serialità horror per eccellenza, IT, e alla fortunata serie di film Ghostbuster.
I tributi non si circoscrivono esclusivamente alla mera citazione di palloncini fluttuanti o alla ricreazione dei costumi dei famosi ricercatori universitari studiosi di eventi paranormali, ma si concretizzano specialmente nel momento in cui contribuiscono a dare una forma più definita e concreta a tutta la mitologia su cui poggia la creatura dei fratelli Duffer.
I celebri omaggi non rischiano così di cadere nel banale luogo comune del già visto, ma piuttosto vengono dosati e inseriti con sapiente maestria, tipica di chi, con intelligenza, sa di non poter ignorare il peso illustre di un genere che ha formato l’immaginario e la cultura di intere generazioni, ma facendolo proprio gli restituisce una nuova vita, aggiungendoci in più quel quid di paranormale ancora non esplorato che appassionerà sempre i veterani e porterà a reclutare nuovi schieramenti di adepti tra le fila delle generazioni più giovani.
Ma ciò che più ha affascinato di questa seconda stagione e che l’ha resa argomento di conversazioni mediatiche così entusiastiche e affascinanti tanto da poter competere al fianco di Game of Thrones, il colosso seriale della HBO che domina come sovrano incontrastato del web, è stata principalmente l’esplorazione dei rapporti umani tra i vari personaggi, molto più profonda ed articolata rispetto alla prima stagione.
L’avventura, il gusto per esplorazione intrepida di luoghi avversi e sconosciuti, il coraggio di diventare grandi in fretta per affrontare i mostri veri affianco degli adulti come protagonisti, il senso di responsabilità e protezione che scaturisce solo nel momento in cui il legame che unisce i personaggi è la vera amicizia, quella genuina e pura dei bambini, gli unici in grado di riportare alla luce il significato più autentico e primordiale di quel sentimento di affetto che si dà gratuitamente senza secondi fini. È l’amicizia che ti fa credere nel per sempre.
Will, Mike, Lucas e Dustin ci fanno ripercorrere il viale malinconico dei ricordi, degli anni lontani in cui anche noi avevamo degli amici come loro: restii a far entrare nuovi membri nel gruppo, pronti a coprirci le spalle, a riunioni segrete, a conversazioni in codice con le trasmittenti, alla passione per Dungeons & Dragons e per tutto ciò che riguarda l’universo fantascientifico.
L’affetto sincero e reciproco, il desiderio di sostenersi, le bisticciate e il fare la pace subito dopo rendono il percorso dei quattro amici molto simile a quello di Gordie, Chris, Teddy e Vern.
Come in Stand by Me, anche in Stranger Things troviamo il gruppo dei più grandi, qui pronti ad appoggiare e ad aiutare nella loro missione i piccoli.
Mentre Jonathan e Nancy conducono le loro ricerche insieme e permettendo così di esplorare al meglio il rapporto creatosi tra loro durante la scorsa stagione, Steve Harrington ha finalmente il suo momento di gloria e il giusto riscatto morale dopo un battesimo al pubblico fatto di ritrosie, antipatie e dubbi.
L’incontro fortuito con Dustin, alla ricerca disperata dei suoi amici in un momento di grandissimo bisogno, è l’occasione che permette a Steve di dimostrare al pubblico una sensibilità e una profondità del suo personaggio non ancora degnamente esplorate.
Il giovanotto scapestrato, bello, popolare e pieno di sé intraprende in questa nuova stagione un percorso di redenzione eccezionale, costellato da gesti di eroismo e altruismo di vitale importanza non solo ai fini della trama in generale, ma anche per la creazione di un rapporto autentico di fiducia e lealtà all’interno del gruppo dei piccoli.
Steve Harrington si trasforma quindi nell’eroe maturo e giudizioso di cui nessuno sapeva di aver bisogno nella propria vita, arrivando persino a rivoluzionarla nel migliore dei modi possibili con un banalissimo colpo di lacca di Farrah Fawcett.
Anche in questa stagione il focus è incentrato principalmente sul cast dei giovani protagonisti, ma il piccolo corollario di adulti che ruota attorno a loro assume via via che si procede nella visione degli episodi un’importanza sempre in crescendo, senza tuttavia metterli in ombra ma piuttosto spalleggiandoli nelle diverse situazioni senza rendere la loro presenza vuota o ingombrante.
Emerge dallo sfondo soprattutto Jim Hopper, che si riscatta dal suo drammatico passato attraverso il toccante rapporto che va a creare con la piccola El, grazie alla quale riesce anche a placare quel deleterio senso di colpa misto a rimorso nei confronti dell’amata figlia scomparsa. Un vuoto che El non può di certo colmare, ma la sua vicinanza e la testardaggine tipica dei bambini ridanno allo sceriffo una nuova ragione per ricominciare a vivere, abbandonandosi alle spalle quell’apatia soffocante che lo avevano portato a condurre un’esistenza stanca e strascicata tipica di chi sta solo sopravvivendo a se stesso.
Graditissima new entry è Bob Newby, interpretato da Sean Astin, attore ormai navigato in tema di avventure con protagonisti dei ragazzini che cercano di riscattarsi e diventare degli eroi agli occhi dei grandi.
Bob è il tipico personaggio a cui inizialmente nessuno presta davvero attenzione. Un po’ perché appare random, un po’ perché sembra messo lì a cornice di un quadro familiare piuttosto delicato, Bob emerge lentamente con l’avanzare dei minuti, trasformandosi ben presto da elemento relegato a siparietti tragicomici ad eroe romantico disposto a dare la vita per le persone care. Un sacrificio estremo ma necessario per la salvezza di tutti, ci tocca riconoscerlo nonostante copiose lacrime di righino il viso per il dispiacere di aver dovuto dire addio troppo presto a un personaggio che, in punta di piedi, aveva fatto breccia nei nostri cuori.
Dopo uno scontro da cardiopalma tra il Bene e il Male, l’ultimo episodio ci regala un finale piuttosto riposante, dove ogni elemento trova la sua esatta collocazione, anche il doveroso commiato alla sfortunata Barb.
Nonostante l’inganno sia dietro l’angolo (o meglio sopra le nostre/loro teste) e svelato in un cliffhanger finale di grandissimo effetto, la seconda stagione chiude il suo percorso magnificamente, riallacciandosi con cura e coerenza con i filoni narrativi avviati con la prima stagione.
L’intelligenza e la maestria con cui i fratelli Duffer continuano a imbastire le storie degli abitanti di Hawkins confezionano al pubblico un prodotto di alta qualità, godibile ed entusiasmante che diverte, inquieta, commuove, fa imprecare e fa innamorare senza mai cadere nell’oblio del banale e dello scontato.
L’intero cast, a partire dalla già acclamata Millie Bobby Brown, passando per Noah Schnapp, l’eccezionale interprete del piccolo Will, per arrivare ad una Winona Ryder più in forma che mai, si conferma ancora una volta una solida certezza in termini di bravura e affiatamento corale.
D&D ci hanno deliziato di con una seconda stagione che ha saputo mantenere alto l’hype e soddisfare appieno le aspettative di un pubblico desideroso di lasciarsi travolgere e coinvolgere così intensamente da assottigliare i confini tra realtà e fantasia.