Il quarto episodio di The Handmaid’s Tale risulta sottotono in termini di ansia trasmessa, ma compie un ottimo lavoro nell’approfondire la psicologia di alcuni personaggi. Dopo una tripla messa in onda iniziale in cui la tensione di tre episodi è stata fruita tutta insieme, è fisiologico un crollo di tensione in questo episodio e, anzi, quasi ne sentiamo il bisogno. Dopo essere stati in ansia così a lungo, ci fa bene respirare a pieni polmoni e usare questo episodio per scavare un po’ più nel profondo.
Nei flashback scopriamo di come June e Moira si sono separate, del tentativo di fuga che hanno messo in atto per cercare di liberarsi dalla prigionia e che ha funzionato solo per una delle due (ma non sappiamo fino a che punto, a dire il vero). Se le scene avvenute nel flashback avessero avuto luogo nel presente, molto probabilmente saremmo stati divorati dall’ansia di cosa sarebbe successo, ma il solo fatto che tali cose siano avvenute nel passato hanno un po’ smorzato la tensione: sappiamo molto bene la fine che farà June, sappiamo che diventerà Offred e che non sarà libera, quindi andiamo a vedere i flashback con un senso di rassegnazione.
Le due amiche si separano, June si sacrifica per permettere alla sua amica di fuggire verso l’ignoto, ma è proprio alla fine, dopo la tremenda punizione alla quale la sottopongono, che vediamo come queste handmaids mantengano ancora una parte di loro stesse: le potranno piegare, ma non stanno riuscendo a spezzarle. Le ragazze portano i loro “tributi” a June per aver tentato la fuga, per essere stata l’eroina che nessuno di loro è riuscita ad essere. La libertà di una di loro significa la libertà di tutte perché accende la speranza per il futuro.
La situazione nel presente, però, è ben diversa. Se i primi episodi sono stati molto più corali, perché avevano il compito di presentare il contesto e di farci avere un’idea ben precisa dell’ambiente attraverso i suoi protagonisti, adesso può concentrarsi su altri aspetti e sono la solitudine di Offred e le interazioni con la famiglia Waterford a farle da padrona.
Serena Joy ha mantenuto la promessa di tenerla rinchiusa nella sua stanza e lì Offred trascorre due settimane in piena solitudine, senza poter vedere la luce se non qualche spiraglio attraverso le persiane della sua stanza. Non per questo le viene concessa la privacy della solitudine, però, perché la porta viene sempre lasciata un po’ aperta, proprio a ricordarle che non può nemmeno trarre del positivo nelle disgrazie.
Nella solitudine della sua stanza, trova conforto nella precedente Offred. Nolite Te Bastardes Carborundorum, sono queste le parole che trova incise nel suo armadio ed è grazie ad esse che riusciamo ad approfondire il personaggio del Comandante. Fino ad ora ci era sembrato molto enigmatico, ma adesso ci rendiamo conto che prova una certa compassione per le Ancelle che entrano nella sua dimora. A differenza di Serena, che le considera unicamente degli uteri ed hanno un valore solo nel momento in cui ospitano la sua creatura, Fred vuole accontentarle nei limiti del possibile. Non è il freddo calcolatore che ci aspetteremmo, ma in lui c’è dell’altro che ancora va scoperto. Grazie all’intuizione di Offred, ad esempio, capiamo che per riuscire ad andare fino in fondo alla Cerimonia, ha bisogno di un legame, di una connessione. Cerca di averla con Offred ma lei gliela nega e a quel punto nemmeno Serena è in grado di correre ai ripari.
Le dinamiche che si stanno innescando tra i tre stanno diventando molto interessanti e anche poco intuitive, il che è un bene: non vi è quella solidarietà femminile che ci saremmo aspettati di vedere, non è l’uomo a vedere la Handmaid come un oggetto e queste sono dinamiche molto interessanti.
E questo Offred lo ha capito e lo utilizza a suo favore: con un ricatto psicologico convince Fred e lasciarla uscire dalla stanza e, almeno per ora, può assaggiare un po’ di libertà.
Nel darvi appuntamento alla prossima puntata vi invito a passare da Yvonne Strahovski Italy e da The Handmaid’s Tale Italia – Il racconto dell’ancella.