The Knick – Recensione 2×01 – Ten Knots

Ritorniamo, dopo un anno dalla fine della prima stagione, al Knickerbocker Hospital dove hanno inizio e fine di tutti i drammi umani.

Drammi che, nonostante ci troviamo nella New York di inizio ‘900, sono assolutamente attuali, e dove la debolezza e l’ignoranza umana hanno il sopravvento sulla ragione.

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John Tackery è la vittima evidente delle sue stesse debolezze: al termine dell’ultima stagione lo avevamo lasciato in preda a deliri di onnipotenza, bramoso di scoperte mediche (spesso raggiunte con esperimenti azzardati, dando poco valore alla vita) e cocainomane. Adesso è eroinomane, baratta operazioni di rinoplastica per qualche dose in più droga ed è totalmente paranoico ed indifferente su quello che accade attorno.

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Sorprende che a salvarlo da una clinica di disintossicazione che lo avrebbe ucciso sia proprio Gallinger, forse per espiazione o per legge del contrappasso rispetto alla scorsa stagione; lo rapisce e gli fa passare l’astinenza su una barchetta nel nulla, in mare, soli, a concentrarsi su se stessi, a fare nodi marinai, intenti a tornare a vivere.

La figura di Takcery non è più (anzi non è ancora) quella figura carismatica e geniale e non è neppure l’unico protagonista di questo incredibile telefilm. La presenza vive in tutto, molto spesso il suo nome viene ricordato e ancora più spesso viene pensato e cercato: basta pensare alla tenera Lucy e alla lettera d’amore che gli scrive.

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Ma c’è molto altro in The Knick, ed in Ten Knots: c’è quel razzismo infimo, che esclude il Dr. Edwards a diventare primario dell’Ospedale perché nero, c’è la ghettizzazione dei gialli, o più in generale degli immigrati perché portatori di peste. C’è la suora abortista Harriet, ripudiata dalla sua Madre Superiora perché troppo altruista nel voler aiutare donne in difficoltà, ed infine il giovane Bertie, ancora scosso per l’esser stato rifiutato da Lucy e che di conseguenza cade in un freddissimo distacco.

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E ancora Cornelia, intrappolata in un matrimonio, in una casa e in una vita che non è sua, e Barrow schiavizzato dai suoi stessi debiti.

Tutto questo non è terribilmente attuale? Come se l’egoismo umano non conoscesse tempo.

In fin dei conti la rovina dell’uomo è proprio l’uomo stesso, e in questo episodio vediamo come la vita sia solamente un continuo barcamenarsi tra un dramma ed un altro.

E anche quel poco di altruismo visto in questo episodio, come quello di Cornelia nel portare provviste agli appestati, non è abbastanza per la libertà o per una piccola dose di redenzione, dato che gli stessi aiutati sono sopraffatti dall’avidità e soccombono alla fame, attaccando proprio chi vuole solo dare un aiuto.

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Non mancano, in tutto l’episodio, alcune scene piuttosto cruente su metodi chirurgici di inizio ‘900 che donano completezza e un senso di realtà.

Sopra questi pezzi di vita troneggia il Knickerbocker, sempre maestoso ed elegante nonostante al suo interno nasconda segreti e ogni tipo di bassezza umana.

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Steven Soderbergh riesce, a mio parere, a sublimare la disperazione grazie alla complessità e allo spessore di tutti i personaggi, alla scelta degli attori, alla loro fisicità, alla cura dei dettagli.

Questo episodio non emoziona, ma è sfacciato e complesso abbastanza da intrigare e coinvolgere.

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