Lo scorso anno The Leftovers era stata una delle serie più attese per i nomi presenti alle sue spalle, HBO e Damon Lindelof in primis, nonostante ciò aveva spaccato il pubblico deludendo gran parte dei fan, pur presentando una prima stagione, che seppur imperfetta, era stata di buon livello ed era stata in grado di emozionare.
I difetti più contestati erano stati la talvolta eccessiva lentezza, ma soprattutto era stata criticata alla serie la sua vera essenza, ossia avere uno spunto di partenza senza affrontarlo: la sparizione del 2% della popolazione non è un fenomeno da indagare e che va compreso, a cui va data una spiegazione logica; ma, come già nel libro di Tom Perrotta (spalla di Lindelof nella scrittura della serie), un semplice pretesto per indagare l’animo umano, le sue reazioni e le sue emozioni.
Un prodotto tutt’altro che commerciale, forse era questa la cosa che più non andava giù della prima stagione, in quanto in televisione siamo abituati a vedere prodotti di ben altro tipo.
La seconda stagione, dopo una lunghissima attesa (più di un anno di pausa), è iniziata il 4 ottobre. Sarà riuscita questa volta a convincere tutti?
La prima puntata della nuova stagione si apre come se fosse un reboot: una nuova famiglia, i Mupheys, una nuova location, Jarden (per tutti ormai semplicemente Miracle), ed una nuova protagonista che fin dal primo minuto della nuova stagione sembra affrontare alla drammaticità della prima stagione, la speranza.
Ebbene, moltissime cose cambiano: il cast, rispetto alla prima, viene tagliato e selezionato con cura, si sceglie di puntare la lente d’ingrandimento ora solo su alcuni dei personaggi della prima stagione, come Kevin (e Patti), Nora, Matt e Mary Jamison, agli altri il minutaggio è stato notevolmente ridotto, puntando per i loro personaggi ad una narrazione più selettiva, ma allo stesso tempo più accattivante ed intensa come per Meg, Laurie e Tom.
A restare uguale però è l’animo della serie, la sua natura non viene intaccata da tutti questi cambiamenti, che anzi non sono altro che espedienti azzeccati, per una seconda stagione più profonda ed emozionante della prima, in quanto riesce a scendere ancora più in profondità nell’animo di tutti i personaggi che decide di prendere in considerazione.
Questa è stata la stagione della speranza. Se nella prima era sottomessa alla drammaticità e alla disperazione, la speranza comincia a trapelare nei vecchi personaggi ancora alla ricerca di una pace apparentemente esterna, ma in realtà quello di cui hanno bisogno è la pace che manca dentro di loro, non a caso una delle due storyline vecchie mantenute è quella della follia di Kevin; e mentre la speranza si fa strada nei vecchi protagonisti, la preoccupazione di una nuova possibile sparizione sembra preoccupare più gli abitanti di Jarden che coloro che avevano già subito delle perdite; questo contrasto fra i nuovi arrivati e la comunità di Jarden e le loro reazioni di fronte alle dipartite sono forse la tematica meglio realizzata e curata di tutto The Leftovers.
La serie è stata un crescendo narrativo per otto episodi ricchi di colpi di scena a dir poco coraggiosi, una corsa che ha mostrato le capacità autoriali innanzitutto – il fatto che Lindelof e Perrotta siano praticamente dietro ogni puntata si sente molto – inoltre anche tutto il cast è decisamente cresciuto rispetto alla prima, in particolare una nota di merito va a Justin Theroux, molto criticato nel corso della prima, non tanto per la sua interpretazione, ma per la mancata capacità di saper bucare lo schermo come Christopher Ecclestone, che quest’anno ha invece dimostrato di essere in grado di farlo.
La prima ed unica battuta d’arresto è stata la nona puntata, una puntata più simile per schema narrativo ed espositivo a quelle delle prima stagione e di conseguenza anche la più lenta di quest’anno, nonostante fosse necessaria per fare il punto della situazione con quanto era stato narrato in precedenza e lasciato un pochino in disparte (come le storie di Meg e Tom) nel corso della stagione in vista del finale.
La puntata finale, per quanto riguarda l’intensità ed il ritmo, non è forse perfetta, ma risulta comunque particolarmente intensa dal punto di vista emotivo e riesce a portare tutte le storyline ad un punto di convergenza ed in parte di risoluzione, cosa non era facile immaginare, non con questa eleganza e fluidità.
La domanda iniziale era se questa stagione avesse soddisfatto tutti. La risposta è assolutamente sì, ma soltanto chi aveva già apprezzato la prima; la missione di acquistare nuovo pubblico e nuovi spettatori è invece miseramente fallita.
Lindelof e Perrotta quest’anno non hanno davvero colpe, perché The Leftovers è stato uno dei prodotti più belli dell’ormai passato 2015 televisivo, però ha continuato ad essere, consapevolmente, un prodotto estremamente di nicchia. In questa stagione spesso è anche sembrato che gli autori volessero sottolineare questo aspetto, ma questo non ha giovato, chiaramente, per quanto riguarda l’audience.
Gli spettatori, probabilmente tutti, quando hanno iniziato a seguire The Leftovers, l’hanno fatto soltanto perché erano convinti di assistere ad un nuovo Lost, ma quando si è capito che il mistero alla base non era approfondito, molti hanno smesso di seguirla: molti dei misteri o delle scene che passano sullo schermo devono semplicemente essere accettate, la sparizione del 2% della popolazione non ha una spiegazione e Lindelof in una puntata dà allo spettatore due spiegazioni, una più illogica dell’altra, proprio per farci capire che non tutto può essere compreso ed è l’uomo che si ostina a comprendere anche ciò che non è in grado di capire, scaturendo così nel ridicolo.
Le poche storyline sono state gestite alla perfezione, nuove e vecchie (la pazzia di Kevin ed i Guilty Remnants) si sono unite creando un nuovo anno più bello del precedente ed ancora più emozionante. Il finale, molto simile a quello della prima, lasciava degli spiragli aperti in vista di una nuova stagione, ma poteva anche essere perfetto come finale di serie, senza lasciare troppe situazioni in sospeso, ma per fortuna è arrivato il rinnovo per una terza ed ultima stagione.
Il punto di forza, oltre ad un cast notevolmente cresciuto, è stata poi proprio Jarden, la nuova location ha portato una ventata di aria fresca all’interno della serie e tutti i suoi cittadini, in primis la nuova famiglia che è riuscita ad empatizzare e ad affascinare lo spettatore quasi da subito.
Senza più il materiale cartaceo, terminato con la fine della prima stagione, Lindelof è riuscito a dar vita a qualcosa di migliore, che riuscisse a meravigliare e sorprendere anche i lettori più scettici su un secondo anno (come il sottoscritto). La serie ha letteralmente spiccato il volo, peccato che già il prossimo anno questo volo giungerà al suo termine.