Siamo solo alla seconda puntata dell’ultima stagione e già il finale di serie si preannuncia alquanto scoppiettante, con regimi da rovesciare, vampiri da uccidere e folle da incitare. Il classico schema narrativo nel quale i protagonisti si dividono dopo una dura sconfitta, non fa che accrescere la voglia del pubblico di rivedere di nuovo unita la vecchia squadra, ed è per questo che non ci fanno aspettare a lungo per farci vedere che cosa è accaduto agli altri eroi, assenti ingiustificati del primo episodio. Gus (Miguel Gomez), Dutch (Ruta Gedmintas) e Setrakian (David Bradley) monopolizzano la trama con nostra somma gioia, ma anche di quella degli autori, che hanno così la possibilità di creare un mondo post-apocalittico che nulla ha da invidiare alle migliori pellicole cinematografiche del genere.
In questo senso il titolo dell’episodio, The Blood Tax, di per sé già sinistro, assume un significato inquietante. Era quasi scontato che la società rimodellata dagli strigoi fosse molto simile a quella del periodo nazista, solo per la nostalgia di Eichorst (Richard Sammel) per l’epoca in questione. Ci confermano quello che avevamo intuito nel primo episodio, gli esseri umani non sono più predatori, ma prede, in gabbia per lo più. Chiusi in queste piccole cittadelle che, non solo a Setrakian, ricordano i campi di concentramento, con l’aggravante che qui vengono trattati come bestie da macello.
Come tutti i campi di concentramento o di detenzione che si rispettino, anche questo ha i suoi orrori, in uno dei quali purtroppo si imbatte Dutch. L’indomabile bionda si ritrova suo malgrado in un centro in cui si allevano bambini con il sangue di tipo B, che a quanto pare ha un sapore particolarmente piacevole per gli strigoi. Qui vengono radunate tutte le donne con il sangue di tipo B, che vengono poi inseminate così da creare il sangue più puro che sia mai esistito. Il sangue diventa la vera moneta di scambio, se non lo doni giornalmente vieni punito. Questo ricorda, e non molto da lontano, un’altra serie, evento dell’anno, The Handsmaid Tale. Con scopi diversi ma rinchiuse entrambe in un mondo distopico, le donne vengono usate essenzialmente come mere riproduttrici. Il concetto fa tanto più paura quanto più si pensa che potrebbe accadere realmente.
Ovviamente, questo potrebbe spaventare noi ma non di certo Dutch, la quale trova il modo di corrompere uno degli addetti ai lavori per portarla fuori da lì. Anche se la vicenda non finisce nel migliore dei modi, la nostra Dutch si fa notare dal super capo del centro, che ha aiutato il Maestro fin dall’inizio. Il dialogo tra i due mette in evidenza quello che abbiamo visto con il cugino di Gus, la paura è il vero motivo per cui hanno vinto gli strigoi. Non perché loro sono più forti, ma perché noi siamo più deboli. Sono davvero pochi coloro che combattono contro questo status quo, la maggior parte preferisce sottostare per continuare a sopravvivere. Come in tutte le storie inventate e reali di questo genere però c’è sempre qualcuno che alza la testa per dire basta, qualcuno che si fa carico della responsabilità di liberare il genere umano sia dal male che dalle sue paure. Questo qualcuno è Ephraim (Corey Stoll), che in un accesso di lucida rabbia espone un piano talmente geniale che anche lui stenta a crederci, avvelenare il sangue destinato agli strigoi.
Tra piani che hanno del potenziale e una società distopica che mette in evidenza tutte le contraddizioni del genere umano, i protagonisti si muovono inconsapevolmente su una gigantesca scacchiera, pronti ad occupare il posto che gli spetta e a combattere anche con i denti per mantenerlo. I fili che li collegano sono sottilissimi ma fatti di acciaio, nessuno di loro si è veramente arreso nonostante la batosta subita, inconsciamente continuano a lottare. La rinascita dei protagonisti mi sembra un tema molto azzeccato per un’ultima stagione di una serie che nonostante sia stata snobbata è a mio parere un piccolo gioiellino che ha avuto il merito di ricucire addosso ai vampiri il ruolo di mostri.
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Stay tuned