‘We’re like the dreamer who dreams and then lives inside the dream.
But who is the dreamer?’
Dopo aver lungamente atteso di conoscere il ruolo assegnato alla nostra Monica Bellucci, il suo alter ego in Twin Peaks ci lascia in regalo una suggestiva frase, un aforisma quasi, che ci porta a riflettere della nostra irrequieta e smaniosa condizione di telespettatori che si trovano a barcamenarsi nell’intricato labirinto che David Lynch ha tessuto fin dal primo frame della sua creatura seriale.
Non è facile mettere insieme i pezzi e provare a dar loro un significato che rientri negli schemi dell’umana comprensione, senza sconfinare nei territori inesplorati dell’assurdo e dell’irrazionale, i quali, ora più che mai, sembrano la via d’accesso preferenziale per provare per lo meno a connettersi con il genio artistico ed esuberante del regista.
Tali ragionamenti complessi e articolati sembrano sciogliersi mano a mano che Gordon Cole e il suo team procedono, nei primi minuti di Part 14, ad una lunga spiegazione presentata con un’abile sapienza tecnica ed espressiva, in pieno stile lynchiano.
Come teorizzato fin dall’inizio, l’introduzione dei nuovi personaggi ha arricchito il nucleo centrale delle vicende e ora le loro strade sono pronte per convergere in un disegno ampio ma coerente e coeso nel suo insieme.
Gordon, Albert, l’agente Tammy e Diane monopolizzano la scena, fornendo importanti elementi per un nuovo sviluppo di trama, preparando quindi il terreno per gli ultimi episodi.
La telefonata tra Cole e Frank Truman chiarisce definitivamente ai personaggi la natura del not good Cooper, confermando la teoria del doppelgänger. A ciò si ricollegano le indagini della Blue Rose del 1975, legate proprio a un caso di doppi. Ma è la rivelazione di Diane la vera sorpresa di questo episodio e il trat d’union che lega la nuova task force con la comparsa del buon doppelgänger nelle vesti di Dougie Jones: Diane e Jayne-E sono sorelle.
Lo stupore iniziale lascia ben preso spazio allo scetticismo e al dubbio, dovuti soprattutto al losco coinvolgimento della stessa Diane nei traffici di evil Cooper. Quindi il sospetto che non ce la racconti giusta è più che legittimo. Ancora non è ben chiara l’origine del vero Douglas Jones ma, essendo un doppelgänger dell’agente Cooper, possibile che la donna non abbia mai riconosciuto nel cognato la copia esatta del collega? Mano a mano che si procede nella narrazione, il personaggio di Diane si circonda sempre più di un’aura oscura e sospettosa, ben lontana dall’immagine di buona dolce e laboriosa segretaria che personalmente mi ero figurata fin dal primo momento in cui l’agente Cooper pronunciò il suo nome in quella lontana tarda mattinata del 24 Febbraio 1989.
Il sogno di Gordon Cole ribadisce nuovamente la forte connessione tra Return e il prequel Fire Walk With Me e come l’agente Philip Jeffries e le vicende che lo hanno visto protagonista siano il ponte tra il passato e il presente.
Spiegazioni importanti e necessarie più per gli stessi personaggi che per i telespettatori, i quali beneficiano di questi ulteriori chiarimenti forniti da Cole/Lynch così da comprendere se le loro supposizioni e congetture si stanno muovendo nella giusta direzione. Il continuo gioco di equivoci, rimandi, posticipazioni che Lynch ha abilmente tessuto per 14 episodi ci ha presentato un lavoro di spettacolarità televisiva unica nel suo genere, in grado di mantenere alta la suspense in vista dell’arrivo dei momenti risolutivi, i quali ormai non possono continuare ad attendere ancora.
Tutto converge verso il cuore pulsante della storia; non è chiaro però quando tutto ciò stia avvenendo e quale sia l’ordine logico e temporale che governa l’universo di Twin Peaks. Con Part 13 erano emersi chiari ed inequivocabili elementi sul fatto che tutto ciò a cui abbiamo assistito non si stia svolgendo seguendo le canoniche leggi della scansione cronologica degli eventi. Forse – ma non è dopotutto così folle da credere – gli eventi seguono il flusso della coscienza, di quel sogno di cui parla Monica Bellucci.
Se tale ragionamento ha una sua ragion d’essere allora viene spontaneo chiedersi chi è che sta sognando, chi è che muove i fili delle vicende e le ordina secondo la logica che gli è più congeniale.
Sono gli spiriti delle Logge?
È forse Gordon Cole?
O lo stesso Dale Cooper?
Boh.
Protagonista anonimo e debole delle vicende ambientate nella storica stazione di polizia, Andy Brennan gioca un ruolo di primo piano all’interno di quella che sembra essere a tutti gli effetti la White Lodge, il cui ingresso è stato individuato dalla piccola spedizione grazie alle famose coordinate lasciate dal Maggiore Briggs al figlio Bobby.
Nella Loggia il tempo assume una dimensione altra, conferendo agli eventi che vi accadono quell’alone di esoterismo misto a sacralità tipiche di un luogo tanto magico e occulto quanto rispettabile e affascinante. Non è chiaro se le immagini proiettate in una strana sequenza random siano rilevanti al fine di comprendere meglio la mitologia su cui poggia la serie, già straordinariamente svelata in Part 8, o siano piuttosto una sorta di flusso della coscienza dello stesso Andy. Fatto sta che torna di nuovo in gioco la questione del riordino temporale degli eventi. Non tanto quelli accaduti nella White Lodge, regolamentati da leggi proprie insondabili dalla mente umana e non-lynchiana, ma quelli che avvengono dopo il bizzarro ritorno di Andy.
Hawk, Frank Truman e Bobby appaiono completamente disorientati e non ricordano nulla di quanto accaduto. Non sappiamo quanto tempo sia stato via Andy, ma chi ha vissuto esperienze extra-dimensionali nelle Logge non è stato via per un breve periodo. Basti pensare alla seconda stagione, quando il Maggior Briggs fa ritorno solo dopo alcuni giorni.
La meno perplessa e stranita sembra essere Lucy che non batte ciglio ma piuttosto si adopera volenterosa nel fornire aiuto e vestiti a Naido, la misteriosa entità protagonista di Part 3, il cui nome ci viene svelato in coda alla lunga carrellata dei personaggi e di interpreti che appaiono nei credits finali. Approdata nei boschi di Twin Peaks a seguito del tuffo nel vuoto al termine di quella sequenza fumosa e straniante in cui era protagonista insieme a Cooper, ora si ritrova ospite della stazione di polizia della cittadina.
Tra conferme, svolte e chiarimenti, non è da sottovalutare il lungo dialogo tra James e il suo giovane collega inglese. Il pretesto del guanto di lattice da cui il giovane inglese non si separa mai apre la strada ad una lunga serie di ragionamenti circa la mitologia che regge l’intero universo di Twin Peaks e ci porta a concludere che gli spiriti delle Logge posso intervenire nelle vicende umane, poiché non sono imbrigliati dalle canoniche e universalmente riconosciute leggi spazio-temporali. Chiunque può essere scelto ed entrare legittimamente a far parte di un oscuro quanto affascinante universo extra-dimensionale e sensoriale.
Sarah Palmer non è in sé. Questo ci era chiaro fin dalla sua prima apparizione nella serie classica, ma dopo l’episodio del supermercato la scena a cui assistiamo nel locale ha dell’inquietante pari alle apparizioni random di un ghignante BOB nel salotto di casa Palmer.
Chi c’è dentro Sarah? L’oscurità che abbiamo visto divorarla dall’interno è in chiara contrapposizione alla luce che invece ha dentro di sé la figlia Laura, quindi Sarah è l’involucro di un ospite della Black Lodge, al pari di suo marito Leland?
Quindi, di contro, Laura è ormai uno spirito della White Lodge, così come confermato dalla sequenza di Part 8, ma allora perché siede nella sala d’attesa della Black Lodge? Troverebbe così conferma quanto si sospetta da tempo, ovvero che l’oscurità della Black Lodge abbia assorbito e inglobato la White Lodge, trasformandosi così nella sala d’aspetto della sua controparte malvagia?
E poi, Sarah ha sempre avuto questa oscurità dentro di sé? Quindi era complice del marito Leland/BOB? Il sorriso tanto insolente quanto inquietante che le compare in viso in un chiaro segno di sfida porta a sospettare fortemente che tale trasformazione sia legata alla cascata di eventi traumatici e distruttivi che hanno travolto la sua vita di moglie e madre consapevole ma succube del dramma che si stava consumando tra le proprie mura domestiche, dettagli svelatici in Fire Walk With Me.
Molto spesso ci siamo ritrovati a guardare con superficialità e distacco le sequenze ambientate nella Roadhouse. Personaggi random si avvicendano nel locale, consumando birre e intavolando conversazioni ancora più random e stranianti, ed erano più che altro interpretati come il segnale che la parte stava giungendo a chiusura e che, prima di congedare il telespettatore, si vuole alleggerire la tensione di quanto visto.
Ma stavolta un nome ci fa allertare i sensi: Billy.
Il Billy nominato da Audrey Horne, protagonista di un bizzarro quanto allucinante racconto, è una figura enigmatica che sembra porsi a metà tra due dimensioni.
L’uomo in galera che perde sangue dalla bocca e ripete tutto ciò che Chad dice è forse Billy? Oppure è un doppio anche lui?
Che ruolo hanno questo stuolo di personaggi random che si avvicendano nella Roadhouse? Sono parte di quel sogno che nominava Monica Bellucci o sono loro i sognatori? Stiamo sognando anche noi?
Perché ci importa del compleanno di James? Quanti giorni mancano al suo compleanno? In che giorno ci troviamo? Avremo delle risposte o tutti questi interrogativi ci condurranno alla follia?
‘You know about death, that it’s just a change, not an end.
There’s some fear, some fear in letting go.’
Con l’inizio di Part 15 ritorna lo spirito da soap opera che Lynch ama particolarmente e che spesso inserisce per spezzare la seriosità della narrazione. Questa volta i protagonisti sono Ed Hurley e Norma Jennings i quali riescono ad avere il loro lieto fine, ma sotto c’è qualcosa, un nonsoché che non convince del tutto. Forse Nadine tornerà alla carica, nonostante il discorso altruista e maturo che fa a Ed, quando la probabile infatuazione per il doctor Jacoby le sarà svanita.
Per il momento possiamo goderci questa quiete prima di una (probabile ma non impossibile) tempesta assieme a Shelley che guarda la coppia che dopo tante attese ed ostacoli finalmente ce l’ha fatta.
La confusione torna non appena lasciamo i locali del Double R Cafè e ci avventuriamo nella boscaglia. Cyril Pons scorge Steven e Gretchen sono tremanti e impauriti. L’inquadratura sulla roulotte di Becky ci porta a credere che qualcosa di terribile deve essere accaduto. Trovare una giusta collocazione alla storia di Becky è difficile, così come difficile è anche comprendere il vero significato dei dialoghi tra Audrey e il marito Charlie, che fluttuano nella dimensione claustrofobica della loro casa collocata quasi in una dimensione altra rispetto a quella in cui si trovano tutti gli altri personaggi.
Il not good Cooper si reca al Dutchman’s, come indicatogli da Ray. Il luogo non è altro che un varco extra-dimensionale che porta il doppelgänger malvagio in una zona di passaggio, ‘above the convenience store’, dove, superati i Woodmen, incontra Philip Jeffries, o ciò che ne resta, divenuto ormai altro da sé.
David Bowie ritorna tramite flashback, sostituito nelle sembianze da una specie di Dalek, seguendo così la logica che ha portato il Nano a degenerare in un albero senziente. Viene fatto il nome di una certa Judy, già menzionata in passato dal Maggiore Briggs.
‘Che nome è, secondo voi, Judy Garland?’ chiedeva l’uomo a Cooper e Harry Truman dopo che Windom Earle lo aveva torturato e drogato nella seconda stagione. È ragionevole credere che la Judy di cui parla il Maggiore sia la stessa a cui fa riferimento Philip Jefferson, ma la domanda è: si tratta della stessa persona oppure siamo di fronte a un nuovo caso di doppio? Non ci sono dubbi invece sull’ennesima forte connessione che lega Return a Fire Walk With Me.
Fuori dal convenience store troviamo Richard Horne, il quale ci conferma, per sua stessa ammissione, di essere figlio di Audrey Horne. Quindi, in via logica, Charlie è suo padre. Ma possiamo esserne davvero sicuri?
L’equilibrio del microcosmo di quiete e bonarietà che ruota attorno a Dougie Jones sta ormai per essere sconvolto. Il tenero good Cooper è pronto ormai per abbandonare le vesti dell’impacciato doppelgänger e trasformarsi in altro. Riconosciuto il nome di Gordon Cole da un programma in TV, Dougie ha una specie di epifania che lo porta ad infilare la forchetta nella presa di corrente, prendendo la scossa. Lampi, urla e buio improvviso chiudono la scena lasciandoci con la curiosità con chi avremo a che fare adesso.
La nostalgia ha sempre trasudato da ogni parte di questo nuovo ma sempre se stesso Twin Peaks, ma mai questa era stata così fortemente sentita come in Part 15. Alla quale si aggiunge anche il dolore per la scomparsa della Signora Ceppo, nel duplice ruolo di personaggio e di straordinaria e compianta attrice. Singolare, di grande effetto ed enormemente gradito il congedo che David Lynch mette in mano alla stessa Catherine Coulson spegnendo poi le luci attorno al suo personaggio in linea col suo personalissimo stile.
‘Remember what I told you. I can’t say more over the phone.
But you know what I mean, from our talks, when we were able to speak face to face. Watch for that one, the one I told you about, the one under the moon on Blue Pine Mountain.’
Loro sanno ma noi no. E la curiosità morbosa di sapere cosa Hawk e Margaret Lanterman si sono detti è dilaniante. Forse non lo sapremo mai, forse David Lynch ci metterà al corrente della conversazione alla sua maniera. Di fatto non ci resta che attendere. Ancora.
Ma per uno show come questo vale la pena aspettare. Anche venticinque anni.