‘I’ll see you again in 25 years.’
Laura Palmer lo aveva promesso all’agente Dale Cooper, ma indirettamente anche a tutti i telespettatori che fin da quel lontano 1990 si sono appassionati con fervore alle oscure e sovrannaturali vicende che hanno sconvolto e segnato per sempre la vita di una tranquilla cittadina di montagna.
E David Lynch ha mantenuto fede a questa promessa, tornando a risvegliare il suo Twin Peaks, imbrigliato per troppo tempo in un sonno dei sensi e della ragione.
Come un animale che si sveglia da un lungo letargo con i sensi intorpiditi e con i movimenti rallentati, così è anche la creatura del visionario regista, che riprende lentamente coscienza di sé e ridesta tutto il potenziale rimasto quiescente per 26 lunghi anni.
Con la sua narrazione volutamente lenta e destrutturante, Twin Peaks ha sconvolto nel profondo il concetto di serialità, inaugurando una scrittura fatta di intrecci metanarrativi apparentemente discordi tra loro, mescolati sapientemente da una commistione di generi di vario tipo – horror, grottesco, thriller e humor tipico delle soap opera.
Quello che Lynch ci offre oggi è un lavoro più maturo e consapevole, quasi un testamento artistico nel quale ha voluto racchiudere tutta la sua esperienza di autore surrealista, dedito alla realizzazione di scenari angoscianti e onirici, sequenze crude e folli accompagnate da una colonna sonora innovativa e creativa.
The Return – così come sono chiamate tutte le 18 parti del revival, concepito come un lungo film – quindi è un titolo emblematico, riferibile non solo al ritorno della serie cult che ha segnato una svolta innovativa e creativa nel modo di concepire e fare televisione, ma anche al ritorno del regista stesso, più in forma che mai nel voler dare ad una delle sue creature più famose ed emblematiche la giusta e degna conclusione.
Venticinque anni dopo il profetico annuncio di Laura Palmer, i tempi sono finalmente maturi per riaprire il sipario della Black Lodge.
Ed è proprio da lì che si inizia, con una nuova profezia del Gigante, piacevole ritorno di uno dei volti storici della serie.
‘Remember 430, Richard and Linda, two birds with one stone.’
Il tempo a Twin Peaks non si è fermato. Tutto è ancora così, come lo abbiamo lasciato, perché, ad onor del vero, non ce ne siamo mai andati. La stessa narrazione ci conferma questa sensazione che pervade lo spettatore fin dai primi minuti, non assumendo mai la forma di un ‘dove eravamo rimasti’ ma piuttosto aggiunge nuove tasselli, nuovi elementi arricchendo il quadro generale, connettendo passato e presente.
Il nuovo Twin Peaks tiene ben piantate le radici nel suo glorioso passato, ma è consapevole allo stesso tempo che la serialità è andata avanti e quindi il modus narrandi di vecchia matrice non è più proponibile.
La mitologia della serie trasuda da ogni frammento spezzettato, da ogni sequenza volutamente lenta, dai dialoghi criptici intervallati da lunghi silenzi, dalle atmosfere cupe e opprimenti, quasi al limite del claustrofobico: come in passato Lynch si sta prendendo i suoi tempi, tratteggiando uno schema narrativo che mira ad uno scopo ben preciso.
Ma lo sguardo del regista è molto diverso da quello a cui ci aveva abituati nelle prime due stagioni. L’orizzonte si amplia e varca i confini della piccola cittadina montana, rivolgendosi verso la Grande Mela ed il South Dakota.
Anche stavolta abbiamo a che fare con un cadavere. L’omicidio di Ruth Davenport sembra essere il trait d’union con il passato, ma questa volta l’autore dell’efferato omicidio sembra essere meno avvolto dal mistero. Diversamente dal ritrovamento del corpo di Laura Palmer, l’evento non ha lo scopo di innescare una serie di eventi a cascata necessari per lo sviluppo narrativo futuro. Ruth Davenport ha una collocazione ben definita nel grande disegno di Lynch, ma ancora non ci è dato sapere dove di preciso va collocato il tassello. Così come rimane oscura ed inquietante la vicenda che vede coinvolto il giovane protagonista di New York, impegnato in una scrupolosa e costante osservazione di un pericoloso e riservatissimo oggetto: un’enigmatica scatola di vetro. La routine di regole e rituali scanditi da una meticolosità quasi ossessiva è uno dei topoi molto amati da Lynch.
Dopo venticinque anni abbiamo finalmente la risposta ad uno degli interrogativi che hanno tormentato lungamente tutti i telespettatori del mondo.
L’agente Dale Cooper è congelato nella Black Lodge, intrappolato nei vecchi incubi e in quelli nuovi di zecca. Spezzato ogni legame con la realtà, Dale Cooper si muove tra i drappi rossi e le sibilline parole di Laura Palmer, pronunciate nella sua bizzarra lingua. Assieme a lei, nella Black Lodge troviamo anche MIKE e un inquietante albero senziente, evoluzione del suo braccio. E se l’agente brillante ed ironico, amante del caffè nero come una notte senza luna e della cherry pie è prigioniero da 25 anni in un limbo deformato e delirante, libero per le strade di Twin Peaks scorrazza il suo doppelgänger rude e violento, invischiato in loschi affari con altri tizi poco raccomandati. Chi sia di preciso e cosa voglia ancora non è chiaro.
La presenza delle vecchie glorie della serie, Hawk, Lucy ed Andy, l’eccentrico Dr. Jacoby, Shelly e James, Sarah Palmer, Ben Horne ancora al comando del Great Northern Hotel e la signora Ceppo rassicurano il telespettatore, accompagnandolo in questo nuovo viaggio, del quale non è possibile prevedere quale direzione intraprenderà.
‘Ognuno vedrà nella serie ciò che vuole’ ci ha ammonito Lynch, consapevole che ciò che ci aspetta sarà ancora più allucinante e allucinato di quanto già abbiamo conosciuto.
Il regista ci chiede un salto della fede, di armarci di pazienza e di relegare nell’angolino razionale della nostra mente ogni pregiudizio e ogni spiegazione ragionevole. Il confine tra sogno, realtà e assurdo è sottile nel mondo di Lynch: tutto si mescola e si confonde in un prodotto che vuole stupire ed alienare.
Twin Peaks è tornato e l’obiettivo è ancora una volta quello di sopravvivere al Male che abita quei boschi.