‘Around the dinner table, the conversation is lively.’
Due lunghe settimane di attesa per avere tra le mani un nuovo episodio di Twin Peaks sono state estenuanti e necessarie allo stesso tempo.
La curiosità morbosa che alberga nel nostro cuore di telespettatori ha subito un duro colpo durante questo piccolo break, alimentata ora più che mai da tutti gli elementi che David Lynch si è divertito a disseminare in questa prima metà stagione, non trattenendosi in divagazioni e stramberie per il suo ritorno sul piccolo schermo in grande stile.
D’altro canto una piccola pausa era necessaria, specialmente dopo lo sconvolgimento dei sensi, della logica e della ragione a cui abbiamo assistito con Part 8.
Dopo un episodio sperimentale quanto destrutturante e, hands down, uno dei migliori fino ad ora concepiti dal regista per il suo geniale capolavoro, Twin Peaks torna con un episodio dalla struttura narrativa lineare, riallacciandosi così per continuum e per modus operandi a Part 7.
Posta momentaneamente tra parentesi la mitologia dello show, Part 9 torna a concentrarsi sull’intreccio e sulla costruzione della trama a lungo termine. Siamo giunti alla metà esatta della terza stagione e l’idea che qualcosa di grande e altrettanto complesso si nasconda dietro tutti i micro tasselli che Lynch ci ha di volta in volta posto in mano ha delle solide basi su cui poggiarsi.
Con la serie classica, David Lynch ci ha insegnato che ogni dettaglio, per quanto piccolo e insignificante, va tenuto d’occhio. Nulla viene presentato per il puro capriccio di abbellire lo show.
Le apparizioni brevi ed estemporanee in cui sono imbrigliati tutti i personaggi secondari rientrano perfettamente in questo schema. L’apparenza potrebbe portarci a credere che tali comparse brevi e random siano solo fini a se stesse, introdotte per lo più con intenti riempiti che finalizzate a un vero scopo per la trama principale.
Le presentazioni al grande pubblico di Hutch e Chantal corrispondono perfettamente alla descrizione appena delineata. A ciò bisogna poi aggiungere la straordinaria capacità di David Lynch di rivestire il personaggio secondario di quell’aura di familiarità in modo da amalgamarsi perfettamente in un contesto dove le vecchie conoscenze la fanno da padrone.
Ritornato tra i vivi dopo la non-morte dello scorso episodio, il not good Cooper torna subito in azione, commissionando ai suoi loschi e fidati scagnozzi missioni omicide. Furioso per il fallimento del tentato assassinio di Cooper-MIKE si mette in contatto anche con Todd, sollecitandolo caldamente a porre rimedio all’incresciosa situazione. Non è chiaro quanto sia ampia la rete di collegamenti con individui poco raccomandabili che Cooper-BOB ha imbastito nel corso di tutti gli anni in cui ha scorrazzato libero per le strade di Twin Peaks, ma possiamo esser certi che non ha di certo mancato di sviluppare contatti sufficientemente profondi anche con alte cariche sociali e politiche.
Non meno importante il messaggio che invia a Diane ‘Around the dinner table, the conversation is lively.’ che sembra riferirsi alla misteriosa indagine sul corpo senza testa, identificato come il Maggiore Briggs. È affascinante notare come Cooper-BOB riesca a macchiare di dubbio e malvagità ogni scena e a pervadere negativamente la vita di ogni personaggio con il solo e unico scopo di far del male per nutrirsi. È lecito pensare che ormai sia solo questione di tempo affinché la faccenda della garmonbozia torni di nuovo ad essere menzionata dagli spiriti della Black Lodge.
‘253 yards East of Jack’s Rabbit Palace.
Before leaving Jack’s Rabbit Palace, put some soil from that area in your pocket.’
La linearità narrativa lavora con l’evidente intenzione di creare nuova suspense e di tessere degli intrecci più saldi ed intricati tra le varie storyline. Assistiamo quindi ad un’espansione della serie classica, resa più amplia a contemporanea grazie all’introduzione di nuovi elementi che si pongono come trait d’union di un Return che vuole abbracciare passato e presente e proiettarsi allo stesso tempo verso sviluppi futuri.
Emblematico a tale scopo il caso del Maggiore Briggs. Personaggio contornato dall’aura di stramberia e mistero che Lynch adora follemente e inusuale viaggiatore tra dimensioni ma anche tra passato e presente, l’uomo continua a dispensare strampalati consigli e importanti aiuti, destinati principalmente al figlio Bobby.
Più maturo e giudizioso rispetto allo scapestrato giovanotto che avevamo conosciuto nelle prime due stagioni, il riscatto morale di Bobby Briggs avviene non solo tramite il ruolo sociale che ora ricopre nella comunità ma, soprattutto, grazie al ruolo chiave che gli viene conferito dal padre.
L’occasione per mostrare al pubblico il legame che aveva con il genitore – seppur i due non abbiano mai potuto vantare un idilliaco rapporto padre-figlio – arriva con il ritrovamento di un importante indizio riguardo i due doppelgänger di Dale Cooper nascosto dietro criptiche parole di cui solo Bobby conosce il significato. A lui è affidato il compito di guidare Hawk e Frank Truman nel percorso di decifrazione del messaggio.
La mente vola rapida alla seconda stagione della serie classica, in un momento in cui padre e figlio siedono ai tavoli del Double R Cafè e hanno una chiacchierata cuore a cuore. Il Maggiore Briggs è fiducioso circa il futuro felice e di successo che attende Bobby, intrecciando così nelle frasi del dialogo l’alone di dubbio circa una sua probabile quanto plausibile visita alla White Lodge.
Scopriamo finalmente, tra una risatina irritante e una damn fine cup of coffee, che non esiste nessuna notizia riguardo Dougie Jones prima del 1997. Tale notizia si incastra perfettamente con gli avvenimenti della serie classica, giustificando così sul piano temporale la presenza di un individuo esattamente uguale all’agente Dale Cooper.
L’attesa per il ritorno di Audrey Horne si fa sempre più spasmodica, stuzzicata con insistenza dal regista che non perde occasione di menzionarla attraverso il dettaglio delle scarpe rosse.
I movimenti lenti, l’incedere goffo e impacciato e la scarsa loquacità sono da imputare ad un incidente; la stessa disgrazia spiegherebbe inoltre il perché di alcuni atteggiamenti da parte dei colleghi di lavoro nei confronti del bonario Dougie.
Lynch non smette mai di giocare con il grottesco e con i topos tipici delle soap opera, ma oramai la cosa non ci sorprende più di tanto visti gli standard a cui ci ha abituato. E infatti non manca nemmeno questa volta di ritagliarsi un piccolo spazio per inserire le sue amate divagazioni.
I toni seriosi delle indagini sono smorzati dagli irritanti siparietti tragicomici con cui Lynch ci ha sempre deliziato: un filone narrativo fatto per lo più di una commistione di generi diversi – humor tipico delle soap opera, grottesco e tragicità – molto amata dal regista.
Anche questi non mancano di presentare il marchio di fabbrica tipico di Lynch, fatto di lunghe pause, inquadrature prolungate e dialoghi che sembrano non giungere da nessuna parte. Lo scenario che fa da padrone è ancora una volta quello della stazione di polizia, con Andy e Lucy alle prese con la scelta – alquanto discutibile – del colore di una nuova poltrona.
Ma vanno menzionati anche il dialogo assurdo quanto tragicomico di Jerry Horne con il suo piede e la frustrante pausa con inquadratura fissa di due minuti tra Diane, Gordon Cole e l’agente Tammy.
Questi ultimi, a cui va aggiunto anche Albert Rosenfield, vengono informati d’urgenza della fuga di Cooper-BOB e invitati a recarsi tempestivamente nella parte Ovest del Sud Dakota. Il cadavere del Maggiore Briggs, con annessa visita di ispezione, li collega alla testa mozzata di Ruth Davenport e al sospettato in stato di arresto William Hastings, accusato dell’omicidio della bibliotecaria.
Ritornato in scena dopo molti episodi, l’uomo confessa in lacrime la propria attività di ricerca sulla entità paranormali legate a dimensioni altre a quella reale.
È plausibile credere che tale ricerca sia il punto di contatto con le esperienze extradimensionali di cui è stato protagonista il Maggiore Briggs, ma anche che William stesso sia legato a qualche malvagia entità abitante della Black Lodge.
Oltre all’accorata confessione fatta alla moglie alla quale giurava che la notte dell’omicidio non era nell’appartamento della bibliotecaria ma di aver sognato di essere lì, tale supposizione è maggiormente alimentata dalla sinistra e inquietante figura nera (mostrataci nei primi episodi di questa stagione) che, apparsa nella cella accanto alla sua, poco dopo svanisce. Riprendendo in mano la doppia première ci accorgiamo che l’oscuro essere altri non è che il pericoloso Woodman artefice del dramma consumatosi nella stazione radio nel 1956.
Siamo davanti a un nuovo Leland Palmer, inconsapevole ospite di BOB e violento assassino dell’amata figlia Laura? Molto probabile visti i nuovi risvolti ed è ovvio supporre anche ad un nuovo spirito oscuro fuggito dalla Black Lodge, dal momento che BOB è impegnato a dar vita al not good Cooper. A tal proposito è bene ricordare anche il legame della moglie di William con il doppelgänger malvagio, chiuso poi con un pegno di sangue da parte della donna: tale coinvolgimento della donna nei loschi affari del not good Cooper avvalora ancora di più l’ipotesi che la stessa Black Lodge abbia innescato l’intricata catena di eventi.
Sono da tenere a mente le due clienti della Roadhouse, Chloe ed Ella impegnate a confidarsi davanti a una bevuta di problemi di lavoro e di fastidiosi eritemi sotto al braccio sinistro.
Neanche questo elemento sarà lasciato al caso perché se Lynch ha deciso di intrattenerci a colpi di stupore e spettacolarità possiamo esser certi che l’intento sarà pienamente raggiunto.