‘Now the circle is almost complete. Watch and listen to the dream of time and space.
It all comes out now, flowing like a river. That which is and is not.
Hawk. Laura is the one.’
Una manciata di episodi è tutto ciò che ci rimane prima che si completi il cerchio e le parole della Signora Ceppo sono quanto mai esaustive e calzanti alla perfezione con Part 10.
Ad una prima impressione può sembrare che David Lynch se la stia prendendo comoda, forse anche troppo rispetto agli standard con cui è solito intrattenere il suo pubblico, per lo più selezionato in una cerchia ristretta di pochi adepti. Ma tale pensiero è tanto fuorviante quanto falso rispetto a ciò che il regista ci ha annunciato prima del ritorno del suo capolavoro seriale e a ciò che effettivamente ci ha consegnato tra le mani.
Con la sua narrazione volutamente lenta e destrutturante, Twin Peaks ha inaugurato una scrittura fatta di intrecci metanarrativi apparentemente discordi tra loro, a cui vanno ad aggiungersi le divagazioni e le sperimentazioni oniriche tipicamente lynchiane.
Spogliato da questa commistione di altro filosofico e figurativo che non trova ancora una sua precisa collocazione all’interno del panorama dei generi ampiamente riconosciuti, ma riconducibile unanimemente sotto l’etichetta ‘David Lynch’, quel che rimane di Twin Peaks è uno squisito, accattivante e lunghissimo thriller dal sapore noir, condito con quel tocco di soprannaturale che rende l’insieme ancora più coinvolgente. E per goderselo nel pieno delle sue potenzialità l’ideale sarebbe fare una maratona no-stop di tutte le diciotto parts (un binge-watching per farla semplice) così da avere davvero l’impressione di star guardando un lunghissimo film – come da concezione originaria di Lynch e Frost – evitando di perdere nella nebbia della memoria tutti quei piccoli elementi essenziali ai fini della narrazione.
Dopo l’acclamatissima Part 8, i momenti confusi e fumosi sembrano ridursi notevolmente mentre le vicende tornano a concentrarsi sull’intreccio e sulla costruzione della trama a lungo termine. La struttura narrativa lineare che consente agli episodi di riallacciarsi tra loro per continuum e per modus operandi continua a farla da padrona, aggiungendo nel mentre nuovi tasselli facendo così convincere ancora di più il telespettatore che dopotutto nulla è lasciato al caso, ma che tutto rientra in un disegno superiore che mira ad uno scopo ben preciso.
Venticinque anni dopo le vicende della serie classica, i tempi sono finalmente maturi affinché il pubblico riesca ad apprezzare globalmente il lavoro di un artista surrealista, dedito alla creazione di scenari visionari e angoscianti che possono sfociare nell’incomprensione o nell’insuccesso. Nonostante questa consapevolezza e questa nuova predisposizione d’animo tipica dei nostri tempi, Twin Peaks continua ad essere un prodotto di nicchia, riservato a palati raffinati.
Consapevole del suo genio creativo e innovativo, David Lynch dimostra ancora una volta di saper dosare e mescolare sapientemente le sue divagazioni con una trama densa, articolata e straripante di collegamenti necessari per legare passato e presente, alternata a siparietti tragicomici e romantici tipici delle sit-com che alleggeriscono la tensione e l’angoscia proprie di qualsivoglia thriller.
Con la serie classica, David Lynch ci ha insegnato che ogni dettaglio, per quanto piccolo e insignificante, va tenuto d’occhio. Nulla viene presentato per il puro capriccio di abbellire lo show.
Le apparizioni brevi ed estemporanee in cui sono imbrigliati tutti i personaggi secondari rientrano perfettamente in questo schema. L’apparenza potrebbe portarci a credere che tali comparse brevi e random siano solo fini a se stesse, introdotte per lo più con intenti riempiti che finalizzate a un vero scopo per la trama principale. Ma come è avvenuto per Hutch e Chantal in Part 9, stavolta tocca all’assicuratore Duncan Todd e a Richard emergere dallo sfondo in cui sono stati relegati fino ad ora e ad assumere un ruolo più incisivo.
Sollecitato nello scorso episodio dal not good Cooper, Duncan Todd incarica Anthony Sinclair di incastrare Dougie Jones incolpandolo per il mancato risarcimento di un premio assicurativo ai fratelli Mitchum, gli stessi a cui il buon Dougie ha sbancato il casinò.
Nonostante non sia comparso sullo schermo, ancora una volta è interessante notare la fitta rete di collegamenti e conoscenze con individui loschi e poco raccomandabili che Cooper-BOB è riuscito a tessere in tutti questi anni e come, allo stesso tempo, riesca a controllare a suo piacimento le storie dei vari personaggi.
Scopriamo anche che lo psicopatico Richard è imparentato con Benjamin Horne e ha conoscenze importanti nella polizia. Pericoloso, folle e probabile assassino della cliente più affezionata del Double R perché testimone oculare del suo crimine, Richard è il nipote di Horne.
Escluso dai sospetti il povero Johnny, è lecito ritenere che possa essere figlio di Audrey – la cui assenza sta diventando sempre più imperdonabile quanto straziante – o addirittura di Donna Hayward, dal momento che il sospetto circa la paternità di Benjamin nei confronti della ragazza si era insidiato velocemente nelle nostre menti durante la fase più da soap-opera tragica della seconda stagione della serie.
Non mancano nemmeno questa volta i siparietti tragicomici con cui Lynch ci ha sempre deliziato: un filone narrativo fatto per lo più di una commistione di generi diversi – humor tipico delle soap opera, grottesco e tragicità – molto amata dal regista.
Il Doctor Jacoby continua la sua crociata telematica, intenzionato a smascherare i vizi e le falsità di cui sono portatrici le alte funzioni sociali e politiche, seguito con ardore sul suo canale da Nadine Hurley.
In visita dal dottore per un controllo di salute del marito, Janey-E Jones riscopre l’attrazione per Dougie, più dimagrito e decisamente più in forma di quel che ricordava, e dà libero sfogo alla libidine in un’intensa notte di fuoco e passione che lascia il povero good Cooper così frastornato ed appagato da ricordare un adolescente alle prese con la sua prima volta.
Ancora una volta Kyle Maclachlan è da standing ovation con scroscio di applausi a non finire, sempre perfettamente calato e assolutamente impeccabile nell’ardua impresa di gestire il suo doppio ruolo.
Tra le righe possiamo ancora scorgere qualche rimando nostalgico a Dale Cooper che tanto abbiamo amato nella serie classica attraverso abitudini e atteggiamenti che ricalcano il buon agente, ma le sfumature dei nuovi personaggi contribuiscono a dare un valore aggiunto a uno show che ha fatto e continua a fare, dopo venticinque anni, la storia della televisione, arrivando a perdonargli persino quegli eccessivi cinque minuti di concerto finali.
‘My log is afraid of fire. There’s fire where you are going.’
La nostalgia ha sempre trasudato da ogni part di questo nuovo ma sempre se stesso Twin Peaks, ma mai questa era stata così fortemente sentita come in Part 11.
Ad iniziare dal finale, per una volta ambientato non alla Roadhouse ma in un locale dove i fratelli Mitchum hanno subdolamente invitato il buon Dougie.
Una torta di ciliegie, una canzona al pianoforte un ‘damn good’ ci hanno procurato una stretta alla bocca dello stomaco e la speranza negli occhi di rivedere Dale Cooper. Ma la scintilla ci viene presto spenta, anche se l’attesa continua ad alimentare l’entusiasmo spasmodico di rivedere l’amato agente, l’eroe in grado di confrontarsi con il Male della Black Lodge.
Part 11 è un piacevolissimo episodio che racchiude tutta l’essenza di Twin Peaks: dalle indagini investigative, alle presenze oscure e sovrannaturali, fino agli sketch comici fini a se stessi, quasi dei piacevoli intervalli tra una scena intensa e carica di significato e l’altra.
Come scrivevo all’inizio, David Lynch si è preso i suoi tempi, mettendosi comodo e allungando i tempi della narrazione fino a portarla al suo estremo. Stavolta invece prende in mano le redini delle diverse situazioni regalandoci un intreccio dal ritmo incalzante condito di mistero.
Nonostante la violenza bruta di Richard, la malconcia Miriam è sopravvissuta alle percosse.
La relazione tra Becky e Steven è giunta ormai al capolinea dopo la scoperta del tradimento da parte di lui con Gersten Hayward, sorella di Donna.
Il confronto della famiglia Briggs al tavolo del Double R Café ci conferma i sospetti sulla fine della relazione tra Bobby e Shelly, la quale ritroviamo abbracciata a Red, a dimostrarci che non ha imparato nulla dal tossico matrimonio con Leo.
È davvero un peccato che Shelly sia ricaduta di nuovo in una situazione simile alla brutta esperienza che aveva passato e in questo caso la nostra empatia non può che andare a Bobby, il quale invece conferma ancora una volta di essere riuscito a riscattarsi moralmente e socialmente dall’immagine di scapestrato piantagrane giovanotto con cui ci era stato presentato nelle prime stagioni.
Un bambino si ritrova a giocare con la pistola del padre e accidentalmente gli parte un colpo. Il caos dilaga nella città assieme all’irrequietezza di una donna che suona fastidiosamente il clacson. Accanto a lei siede un bambino dallo sguardo malefico e che vomita di continuo. Un pretesto drammatico quanto mai attuale, visti i rendiconti che spesso apprendiamo dai giornali circa queste disgrazie accidentali, porta Lynch a una riflessione profonda e motivata sul Male reale, quello che dilaga nel mondo senza l’intervento degli Spiriti della Black Lodge.
Una considerazione che avviene in pieno style lynchiano ma di grandissimo effetto.
Il Male, ma quello della Black Lodge, lo incontrano anche Gordon Cole e Albert Rosenfield, arrivati assieme a Tammy, Diane e William Hastings nel luogo dove, dal racconto del sospettato per l’omicidio di Ruth Davenport, l’uomo ha incontrato il Maggiore Briggs. È logico credere che in quelle baracche assolate il Maggiore abbia trovato il rifugio dove nascondersi in attesa delle coordinate per spostarsi in un altro luogo. Le stesse, queste ultime, su cui vuole mettere mano anche il not good Cooper e che la stessa Diane potrebbe comunicargli.
Il luogo emana in effetti un’energia extra-dimensionale talmente potente da permettere l’apertura di un portale per mezzo di un vortice. Assieme ai Woodmen, quello che si intravede è uno squarcio della Loggia Nera.
Salvato da Albert prima di rischiare di morire con le braccia alzate, è altamente probabile che le prime ripercussione dell’esperienza sul fisico di Gordon si manifesteranno tramite il tremolio del braccio, così come era capitato già a molti altri personaggi di Twin Peaks nel finale della seconda stagione.
Intanto il corpo di Ruth Davenport viene ritrovato e presenta le braccia alzate allo stesso modo di Gordon e poco dopo Hastings muore in circostanze violente quanto sconvolgenti.
Che la morte del Maggiore Briggs sia connessa con la Black Lodge è indubbio, viste le precedenti ricerche svolte assieme a Windom Earle circa la localizzazione della Loggia nella periferia dei boschi della cittadina. Lo stesso indizio che lascia a Dale Cooper ‘Blue Rose’, simbolo che probabilmente identifica i casi soprannaturali e inspiegabili, porta a credere che esista una stretta relazione tra questo e l’oscura reggia del Male.
I nuovi tasselli che vanno ad aggiungersi a quelli raccolti in Part 9 avvalorano ancora di più l’ipotesi – e confermano quasi – che sia stata la stessa la stessa Black Lodge ad innescare l’intricata catena di eventi.
Il ruolo della White Lodge rimane ancora piuttosto confuso ed evanescente.