‘What the fuck kind of neighbourhood is this?’
‘People are under a lot of stress, Bradley.’
Due episodi sono tutto quello che ci restano prima che il sipario cali nuovamente sugli abitanti di Twin Peaks e sul Male oscuro che da sempre abita quei boschi.
David Lynch ha giocato sapientemente d’astuzia con i suoi telespettatori, costruendo l’intreccio narrativo su una sequenzialità temporale volutamente destrutturante, muovendo i fili con lentezza, senza preoccuparsi delle tempistiche e perdendosi spesso in divagazioni pseudo-filosofiche, lunghe pause riempite solo di silenzi assordanti, fastidiosi quanto tragici.
In un’estate dove lo show di punta della HBO, Game of Thrones, ha regnato incontrastato in termini di ascolti, entusiasmi e speculazioni mediatiche, Twin Peaks si è ritagliato il suo posto accanto all’impressionante colosso seriale, rivolgendosi per lo più ad un pubblico ristretto di fedeli adepti, fiduciosi che, presto o tardi, avrebbero avuto ciò che bramavano di più dal momento in cui lo show cult degli anni novanta ha fatto il suo trionfale ritorno.
Con Return, David Lynch ha riaperto il sentiero per i fitti boschi della cittadina di montagna, aggiungendo al contempo nuovi elementi per riannodare i fili tra passato e presente e proiettarsi verso sviluppi futuri.
Non è semplice unire tutti i pezzi per arrivare a completare il puzzle, senza sconfinare nei territori inesplorati dell’assurdo e dell’irrazionale, i quali, ora più che mai, sembrano la via d’accesso preferenziale per provare per lo meno a connettersi con il genio artistico ed esuberante del regista.
Nuove domande tempestano la mente di ognuno di noi ogni volta che iniziano a scorrere i credits finali, trovandoci così ogni volta sempre più disorientati e straniati ma al contempo così affascinati da non riuscire a trattenere tra le labbra quel sussurro che ha tutte le sembianze di ‘capolavoro’.
Con Part 16 torna nuovamente una struttura narrativa di tipo lineare che consente agli episodi di riallacciarsi tra di loro per continuum, riprendendo esattamente lì dove il precedente si era interrotto per lavorare così sulla costruzione della trama a lungo termine, la quale ha come destinazione ultima il cuore pulsante dell’intera serie dove tutto è destinato a convergere.
Il not good Copper e Richard Horne sono ancora in viaggio verso un luogo ben preciso. La sua fitta rete di scagnozzi e di individui poco raccomandabili che ha capillarmente tessuto in venticinque anni di scorribande e malvagità gli hanno procurato la bellezza di tre diverse coordinate geografiche. Delle tre, solo due concordano nel condurre allo stesso luogo. L’intento di evil Cooper è proprio quello di verificare la loro esattezza. Intuito probabilmente che ciò che si trova davanti è una trappola ideata per ricondurre BOB nella Black Lodge, il doppelgänger usa l’ignaro Richard come esca, il quale va così incontro alla propria fine.
Dominato da pura malvagità, Cooper-BOB non mostra tentennamento nemmeno di fronte alla morte del proprio figlio, come confermato da lui stesso. Ancora uno stupro, probabilmente, come confermato in Part 7, quando l’uomo si era recato a far visita ad Audrey ricoverata in ospedale dopo l’esplosione nel finale della seconda stagione.
Evil Cooper riprende il suo viaggio non prima di aver inviato il consueto messaggio a Diane: uno smile sorridente che si accompagna alla parola ‘ALL’.
Proviamo ora a fare un po’ di chiarezza sulle tre coordinate. Una sarebbe quella fornitagli da Ray in Part 13 e stando a quanto l’uomo ci ha raccontato poco prima di venir brutalmente freddato con un colpo di pistola in testa dovrebbe essere la stessa trovata da William Hastings e procuratagli da Betty; la seconda è quella che Philip Jeffries – nelle sembianze di una specie di Dalek – gli ha consegnato in Part 15. L’ultima è quella inviatagli da Diane.
È ragionevole pensare che la prima e la seconda siano le coordinate corrispondenti e quindi il luogo che indicano non sia altro che la trappola ordita dagli Spiriti della Black Lodge per imprigionare il latitante BOB. Difficile distinguere l’operato di Jeffries e quello di MIKE, ma possiamo ritenere con dovuta tranquillità e sicurezza che entrambi stessero lavorando per un obiettivo comune.
La terza coordinata si completa ora grazie alla nuova sequenza inviatagli da Diane. Dove conduca questa terza sequenza non è chiaro, ma presumibilmente il nuovo luogo sarà circoscritto sotto la giurisdizione di una quanto mai vicina Twin Peaks, come ci conferma la presenza di Jerry Horne, il quale errabonda ancora per i boschi e scaglia la sua delirante frustrazione su oggetti inanimati.
La struttura narrativa dell’episodio continua calzante e serrata, specialmente quando giunge a chiudere le storyline secondarie, prima fra tutte quella che ha come protagonisti Hutch e Chantal che continuano la loro missione on the road, lasciandosi alle spalle una scia sanguinante di cadaveri, fino ad arrivare nella cittadina senza nome di Dougie Jones.
Qui un vicino riottoso e attaccabrighe li accusa di aver parcheggiato il loro furgone davanti all’ingresso del suo vialetto e con tale pretesto prende il via una spettacolare sequenza di scene che riecheggia a gran voce il nome di Tarantino.
L’omaggio di Lynch al celebre regista viene inserito qui con una naturalità impressionante, senza sfociare in forzature o storpiature di nessun genere. Tra dialoghi infarciti di parolacce e di humor noir tanto fuori luogo quanto devastante, e la violenza cinica e sanguinosa si può chiaramente leggere tra le righe la sceneggiatura potente di Reservoir Dogs.
Il fatto che poi lo stesso Tim Roth fosse presente nella pellicola è ovviamente un valore aggiunto che ci fa annuire compiaciuti e ci fa acclamare al genio lynchiano.
‘You are awake.’
‘One hundred percent.’
‘Finally.’
David Lynch ha giocato lungamente con gli sguardi persi nel vuoto del good Cooper, regalandoci spessissimo per un solo brevissimo istante quel barlume di speranza che ci ha portato sempre a credere che Dougie fosse sul punto di riacquistare la consapevolezza della sua vera identità, per far finire poi il tutto con una stretta alla bocca dello stomaco e lo sfumare dell’ennesima speranza nel rivedere l’agente Dale Cooper. Una torta di ciliegie, una canzona al pianoforte, una fine cup of coffee damn good erano i consueti campanelli d’allarme che ci facevano stare sul chi vive e poi far bruciare ancor di più la ferita della delusione.
Per sedici episodi Lynch ci ha dimostrato di non sottostare ai dettami consueti dei revival, di non voler regalare ai telespettatori tutto e subito, specialmente ciò che loro chiedevano a gran voce dopo venticinque lunghi anni di attesa. Ci ha frustrati, ci ha regalato attimi di piacere effimero ed evanescente portandoci a farci emozionare davvero quando sarebbe arrivato il momento opportuno. Quello del telespettatore è stato un viaggio duro e faticoso, sopportabile solo da chi aveva davvero il coraggio e la tenacia di affrontarlo, ma una volta arrivati a destinazione la felicità è più appagante di quanto si immaginasse.
Dale Cooper si è finalmente risvegliato e l’attesa di rivederlo di nuovo chiacchierone, rigoroso, ligio al dovere e perspicace è il premio che ci spetta per aver pazientato per tante settimane ricche di tensione narrativa, di continui giochi di equivoci, rimandi, posticipazioni che hanno allenato la mente e temprato lo spirito, liberandolo dalla faciloneria dei sentimenti improvvisi e sbrigativi che non colmano nessun vuoto.
Kyle MacLachlan è ancora una volta superbo nel ridare vita al suo storico personaggio, rianimandolo nella postura, nella cadenza verbale e nei gesti, restituendo così al pubblico quella sicurezza e quell’ordine che solo l’agente Dale Cooper era in grado di emanare.
Sorriso composto e sicurezza rianimano gli animi anche dei fratelli Mitchum che acconsentono di accompagnarlo a Washington una volta scoperta la sua vera identità. E lo stesso sorriso che riserva ad una straziata ma consapevole Jayne-E e al tenero Sonny Jim ci fanno capire che la famiglia di Dougie non sarà abbandonata a se stessa.
‘They’re real. That was a real Tulpa.’
Quello di Dale Cooper è un sorriso bianco, che dona salvezza; il ghigno del not good Cooper porta invece alla follia e allo sconforto.
È ciò che accade a Diane, risvegliata nel profondo dai suoi peggiori incubi da quell’ALL inviatogli da evil Cooper.
Dal racconto angosciante della donna, scopriamo che anche lei ha subìto la terribile violenza da parte di BOB e forse è stata anche uccisa dalla malvagia entità, deducibile dalla sua affermazione circa il ritrovarsi nella stazione dello sceriffo.
Siamo certi invece che la Diane che abbiamo avuto dinanzi fino ad ora fosse un Tulpa.
Il termine deriva dalla tradizione mistica tibetana e fa riferimento a un essere che viene creato attraverso le potenze mentali o spirituali di una persona. Tale doppio non è un’entità immaginaria ma bensì un essere reale e senziente, distinto dall’originale, con delle personalità proprie e una relativa autonomia.
Il Tulpa giustificherebbe così la presenza di individui duplicati che non sono proprio come l’originale, ma che mantengono con essi una connessione e condivisione mentale, fatta di ricordi e sentimenti.
In Part 14 Albert Rosenfield informava l’agente Tammy su uno dei primi casi a cui fu chiamata ad investigare la Blue Rose, quello di Lois Duffy, morta per sua stessa mano in una stanza d’albergo. È lecito dedurre che le indagini della task force ruotassero proprio attorno all’entità dei Tulpa e la loro creazione.
‘Someone manufactured you.’
Giunta nella Black Lodge, Diane svanisce, frantumatasi come una bambola di porcellana sotto lo sguardo consapevole di MIKE. Ciò che rimane di lei è una piccola sfera dorata, il seme che l’ha generata assieme al DNA della Diane originale. La comparsa della segretaria di Dale Cooper nella Black Lodge avvalora ancora di più l’ipotesi della sua morte violenta per mano della follia omicida di BOB, così come è stato a suo tempo anche per Laura Palmer. Evil Cooper, rivelatosi alla vera Diane tramite il consueto ghigno maligno, ha creato un Tulpa della donna, così da avere un contatto discreto e manipolabile all’interno dell’FBI, un’informatrice preziosa.
‘The other one. He didn’t go back in. He’s still out.’
I semi, dunque, una volta portato a termine il proprio compito, fanno ritorno al piano extra-dimensionale a cui appartengono.
Di anelli – nello specifico il solito anello, ritornato nella Loggia dopo la morte di Ray – e semi parlano anche Dale Cooper e MIKE in ospedale e lo spirito redento della Black Lodge è chiamato a clonare un nuovo Dougie, per riunirsi alla piccola famiglia Jones una volta che tutto sarà compiuto. L’agente dona anche un capello, dal quale prelevare il DNA. Possiamo perciò avanzare l’ardire di immaginare la bontà e lealtà del Dougie creato dall’agente Dale, contrapposto al sovrappeso e fedifrago Tulpa creato da evil Cooper.
Alla luce di ciò è ragionevole credere che il not good Cooper creò nel 1997 una versione falsa di se stesso, ovvero Douglas Jones, per agire indisturbato ed evitare di essere richiamato nella prigionia della Black Lodge.
A questo punto verrebbe da supporre che la stessa Laura Palmer fosse un Tulpa, richiamando alla memoria Part 8, più precisamente la sequenza che ha visto la mente del Fireman/Gigante partorire la sfera dorata con il volto di Laura. Ma sappiamo con sicurezza che la ragazza non era un Tulpa – il ritrovamento del suo cadavere sulla spiaggia nel pilot – ma, alla luce dei fatti, viene da ipotizzare che i pensieri del Fireman per salvare il mondo devastato dalla Seconda Guerra Mondiale in Part 8 abbiano generato quella sfera giallo-arancio concretizzatasi poi in un individuo reale che ha assunto le sembianze di Laura.
Però ciò porta a sospettare che Dougie Jones non sia l’unico Tulpa in Twin Peaks, ma che ci siano altri doppi.
I candidati più papabili portano i nomi del Maggiore Briggs, di Philip Jeffries, di William Hastings, di Sarah Palmer, dell’uomo ubriaco e sanguinante in cella che sembra avere tutte le carte in regola per essere il famigerato Billy, e persino di Maddy Ferguson. Le possibilità sembrano infinite e si rischia di incappare in una situazione alla Battlestar Galactica in cui il sospetto di essere un Cylon porta a guardare con sospetto tutti i sopravvissuti della specie umana.
Quindi evil Cooper è un Tulpa di Dale Cooper?
Se così fosse, un Tulpa può creare un altro Tulpa?
Oppure è semplicemente un doppelgänger, un doppio malvagio?
Come di consueto, le nuove informazioni portano a immediati chiarimenti che fanno tornare i conti, ma di contro innescano nuove e continue domande che forse non troveranno mai risposta.
Così come la condizione in cui si trova Audrey Horne, rinchiusa in una dimensione che è altra sia alla realtà che a quella delle Logge.
La teoria della dimensione extra-corporea che si e venuta a creare con lo stato di coma si avvalora di più ad ogni sua apparizione e gli stessi eventi che si svolgono alla Roadhouse, così slegati così incomprensibili così fuori dalle linee narrative, si caricano di nuovi ed oscuri dubbi. Dopo la nostalgica Audrey’s dance, il brusco risveglio e il riflesso nello specchio portano a nuovi interrogativi e a nuove ipotesi, alla luce poi di quanto detto e supposto poco sopra riguardo i Tulpa.
Dalla tradizione tibetana sappiamo inoltre che gli originali e i propri Tulpa si possono incontrare nei Wonderlands, degli ambienti immaginari che contestualizzano e forniscono un luogo sicuro in cui i Tulpa possono recarsi quando sono inattivi.
La Roadhouse potrebbe quindi essere la Wonderland creata da Audrey e dal suo Tulpa, dove personaggi ed eventi si susseguono in modo random e sconclusionato perché legati dal flusso del sogno e della fuga mentale della stessa creatrice?
Boh.
A due episodi dal finale e con il cervello arrovellato da continue domande, non smetteremo mai di ringraziare David Lynch per aver dato alla sua Wonderland le sembianze di Twin Peaks.