Si chiude la prima stagione e già si comincia a parlare della seconda che molto probabilmente vedremo già a Febbraio 2017. Sull’episodio in se non c’è molto da dire se non che ricalca in pieno lo spirito con cui gli autori e i produttori hanno voluto creare questa serie.
Un episodio che si è volutamente realizzato centrando l’obiettivo solo ed esclusivamente sulla musica, sui retroscena, sui vizi e le manie, sui contrasti nella band per amore o per gelosia (in questo credo che Mick Jagger abbia dato un notevole contributo di esperienza personale). Ma alla fine, quando devi apparire in scena quello che conta è la musica, le chitarre elettriche al top, la voce graffiata e rabbiosa di una gioventù in continua ricerca di idoli da venerare sul palco. Richie Finestra tutto questo lo sa bene, lo respira da anni, e quando dici no a tutto ciò che può farti male allora solo la passione per il tuo lavoro, la tua sensibilità musicale, il tuo saper gestire il dietro le quinte diventa la vera droga.
Nel complesso Vinyl è paragonabile in parte all’inferno dantesco con la differenza che invece di riveder le stelle, qui si risente solo e soltanto la musica. Come non paragonare ad un inferno i primi momenti della serie, quando non solo la cocaina e l’alcool ma perfino il crollo di una palazzina pone fine a quello che possiamo considerare, in chiave Vinyl, il paradiso e cioè il sound della musica?
Richie però non è Dante e non ha Virgilio, Richie è un dannato, un uomo sull’orlo di un baratro e che capisce di essere stato salvato per uno scopo ben preciso. Allora si mette in cammino verso la sua personale redenzione e lo fa contro tutto e tutti, rifiutando l’allettante offerta della Polygram e ricominciando praticamente da zero a ricostruire alla base la sua etichetta. Gli amici quasi non gli parlano e Zak Yankovich addirittura arriverà ad odiarlo per averlo praticamente portato alla rovina, ma questo a Rich non importa.
Tutto crolla intorno a lui, persino la famiglia, persino i figli, la bellissima moglie Devon, ogni singolo atomo di quella che era la sua vita agiata di produttore musicale si disgrega. Eppure in ogni episodio, se andiamo a rianalizzarli, c’è sempre e comunque un appiglio, una flebile speranza, un pensiero positivo nascosto fra le pieghe di una sceneggiatura pesante a volte, ma impeccabile per incorniciare il periodo storico e i personaggi.
Ho criticato la macchietta del mafioso, uno stereotipo ormai davvero fastidioso, ma inserito nell’economia della vicenda, ottiene comunque l’effetto desiderato. Il dramma personale, la crisi con Devon ogni problema e la consapevolezza di essere stato un cattivo esempio per i figli, tutto viene spazzato da una scena in cui Richie abbraccia forte i suoi piccoli, vedendola ti dimentichi del farabutto, del mascalzone, del drogato e alcolizzato. Vedi un padre con mille sbagli fatti e mille da fare forse, ma che in quel momento trova in quell’abbraccio l’energia per andare avanti per sentirsi parte di una famiglia.
La risalita verso la vetta è legata soprattutto ai Nasty Bits, un gruppo capitanato da Kip Stevens, un complesso rock/punk mediocre a livello musicale ma che ha i numeri per diventare ciò che Richie vuole: la band della nuova etichetta Alibi. Per portarli a un livello accettabile, torna fra gli incubi del suo passato e recupera il rapporto (a dire il vero non del tutto) con Lester Grimes, forse il suo più grande rimpianto di inizio carriera. Lo spinge per orgoglio, per rabbia e per amore della musica, l’unica cosa che li accomuna, a prendere quel materiale grezzo chiamato Nasty Bits e farli diventare una band che sappia fare musica che resti ben impressa in chi la ascolta.
Richie mi ha anche ricordato in parte Pinocchio nel paese dei balocchi. Per lui Las Vegas diventa la stessa cosa. Le tentazioni sono così molteplici che alla fine, pur cercando di trovare una soluzione ai problemi economici lo fa nella maniera peggiore, perdendo ogni dollaro guadagnato per esaudire l’insano desiderio di realizzare una vincita alla roulette che potesse miracolosamente risollevare le finanze agonizzanti.
Racconto questo particolare perché è alla base dei contrasti con Zak Yankovich e crediamo che la seconda stagione si concentrerà molto su questa rivalità. Lo capiamo dagli sguardi che i due si lanciano mentre tutt’intorno è festa e rumore.
In conclusione posso dire che Vinyl è stata, in questa prima stagione, una buona serie. Non mi sento di definirla capolavoro perché è una parola che uso raramente, ma di sicuro ha portato a uno step ancora più elevato un certo tipo di produzione seriale. Il rischio è che si possa finire per realizzare opere non del tutto comprensibili al grande pubblico.
Vinyl porta con se la storia di un epoca storica fondamentale per la musica e non a caso è stato scelto il 1973, perché in quegli anni si affacciavano quelle realtà musicali che poi hanno dettato legge negli anni a venire. Nell’ultimo episodio e anche in parte nel precedente, si comincia a parlare di Disco Music e noi sappiamo che di li a poco quel fenomeno sarà portatore di effetti nel mondo non solo della musica ma anche nel nostro, in quello attuale.
Io credo che Scorsese e Jagger abbiano dato vita a un progetto complesso e articolato e che erano coscienti dei rischi che correvano raccontando quasi in presa diretta ciò che era la musica in quegli anni e facendolo non da una prospettiva privilegiata, ma attraverso la caduta e la risalita di un uomo debole e fiaccato nel fisico e nel morale, economicamente finito che rivede le stelle…ops la musica dopo aver camminato nell’inferno della vita.
Passo e chiudo.