Warrior sbandiera il nome di Bruce Lee come ispiratore della serie, cosa vera, ma la serie merita al di là dei riferimenti alla leggenda del Jet kune do.
La brillante intuizione di un uomo ambizioso.
Forse non tutti sanno che Bruce Lee, finita l’esperienza televisiva ne “Il calabrone verde”, visse un periodo di incertezze lavorative che lo portarono alla decisione di tornare ad Hong Kong per lavorare ai fims che poi lo resero leggendario.
Una delle delusioni più cocenti di quel periodo fu sicuramente l’esclusione dal ruolo di protagonista in “Kung-Fu”. La serie infatti, pur essendo nata da un’idea dello stesso Lee che ovviamente aspirava al ruolo di protagonista, si vide scartare a favore di David Carradine per una scelta della produzione che voleva un attore più alto e con un inglese perfetto.
Warrior è un po’ come una sorta di realizzazione delle vere intenzioni di Bruce Lee che non voleva una serie “Cazzotti e massime orientali” ma qualcosa di più profondo legato a un periodo storico ben preciso, la fine del 1800 e un luogo, San Francisco, che visse una lotta intestina fra le Tong che gestivano il malaffare a Chinatown.
Warrior: Sinossi.
La serie Cinemax in onda su Sky Atlantic, segue le vicende di Ah Sahm (Andrew Koji), un formidabile combattente esperto di arti marziali che sbarca a San Francisco alla ricerca della sorella Mai Ling (Dianne Doan), diventata nel frattempo una potente capo Tong.
Il giovane però si ritrova invischiato all’interno delle lotte intestine fra le Tong, il razzismo dilagante, la rivalità con la malavita Irlandese e le ambizioni di politicanti e uomini d’affari.
Prime sensazioni.
Warrior è sicuramente un prodotto ben realizzato con una storyline molto ben scritta e che ci trascina letteralmente dalle poltrone al fango delle strade di Chinatown.
Pur non brillando per espressività, il protagonista ci trasmette tutto il disagio di fronte a qualcosa di assolutamente diverso dal suo paese di origine, ma nel contempo ci offre anche uno spaccato di quella sbruffoneria spavalda tipica del suo originale creatore: Bruce Lee.
Sicuramente non ci si annoia nel seguire le vicissitudini di una comunità, quella cinese, rinchiusa in confini ben definiti in una San Francisco cupa e notturna.
Fin dall’inizio si comprende che il progetto, pur rispettando le intenzioni del suo originale ideatore, ha il taglio di una serie moderna con personaggi ben definiti che in qualche maniera guidano lo spettatore aiutandolo a comprendere un periodo lontano da noi, ma non troppo.
Prime sensazioni quindi molto positive per quanto ci riguarda e arrivati al quarto episodio, Warrior mantiene inalterate le qualità viste nel primo episodio.
Il sesso e la violenza.
Un capitolo a parte lo dedichiamo alle scene di sesso e violenza. Secondo alcune critiche, le scene sarebbero eccessive poco funzionali alla storia, buttate lì ma senza una vera e propria utilità alla comprensione della vicenda.
Dissentiamo da questa opinione perché per quanto visto finora, ogni scena di sesso e ogni scena violenta ha avuto una sua ragione di essere per definire meglio un personaggio o una particolare situazione.
Era fin troppo chiaro che trattando argomenti nei quali, la prostituzione, il traffico di oppio, il gioco d’azzardo, erano centrali, le scene di sesso e quelle di violenza, servivano a definire meglio il carattere dei vari protagonisti.
Sicuramente le scene più attese di una serie Tv come Warrior, sono quelle di lotta. Justin Lin, regista di action movie e mente dietro alla produzione Cinemax, ha voluto scene di lotta molto legate proprio ai vecchi film di Bruce Lee.
Ambientazioni scarne o del tutto assenti, lo spettacolo è demandato completamente alla contrapposizione dei combattenti. Una strada, un locale, una cella, sono scenari perfetti per mostrare queste scene.
Non vediamo voli di 8 metri a gambe tese o pugni che sfondano casse toraciche (almeno finora), ma mosse di kung fu e Karate essenziali e micidiali, più aderenti insomma ad una realtà più pratica e meno spettacolare.
Conclusioni su Warrior dopo 4 episodi.
Tirando le somme possiamo dire di essere stati positivamente colpiti dalla profondità e complessità dei personaggi. Ognuno, dal sindaco ambizioso e arrivista, alla spietata Mai Ling, sorella di Ah Sahm, tutti ricoprono perfettamente una parte importante di storia.
L’intreccio si evolve fra alti papaveri della politica e la vita spiccia e i guai quotidiani di famiglie povere o medio borghesi. La polizia corrotta fin nel midollo, fatica a controllare le fazioni Irlandesi e Cinesi.
Bill O’hara, sergente di polizia è l’esempio perfetto della legge a San Francisco. Un uomo non cattivo, ma con molti vizi che lo indebitano, costringendolo a fare cose che lo sviliscono.
Un personaggio incapace di reagire e che raramente fa emergere la sua vera umanità di uomo alla fine vittima degli eventi.
Quello che finora ha colpito, è stato l’affresco che Warrior ci pone davanti. Il malaffare si mischia al razzismo, alla paura del diverso, alle tensioni di uno Stato in rapida crescita che accoglie migliaia di migranti al giorno perché sa di avere lo spazio e la forza di accogliere forza lavoro.
Purtroppo gli USA non possono evitare la corruzione, le ambizioni, il lavoro con orari impossibili e salari da fame, il controllo delle forze lavoro da parte di comunità più dedite al crimine che al rispetto dei lavoratori.
Sebbene Warrior racconti una storia del 1878, in alcuni paesi del mondo la situazione non è molto diversa e no, non dobbiamo fare migliaia di chilometri per scoprire le stesse identiche cose.
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Passo e chiudo