Ad un passo dal giro di boa, Westworld continua a dimostrare di non essere in grado di cambiare passo e dunque con questo quarto episodio, ”Dissonance Theory”, continuiamo a nutrire tutti i numerosi dubbi che avevamo alimentato già nelle prime tre puntate e in particolar modo con The Stray.
La puntata è sicuramente migliore della precedente, sarebbe stato sorprendente il contrario, ma sebbene le trame vengano leggermente portate avanti e vi siano delle scene importanti, come ad esempio l’interessantissimo dialogo tra Ford e Theresa, Westworld non riesce né a convincere, né ad entusiasmare.
Con questa puntata, partita anche meglio del solito, abbiamo subito modo di capire che queste “dissonanze” non sono altro che quelle che cominciano a pullulare sempre più frequentemente nella testa dei robot, che inconsapevolmente riconoscono simboli legati forse ad un loro passato, oppure sono in grado di prevedere alcuni eventi prima ancora che avvengano, perché in effetti sono già avvenuti, come nel caso di Maeve.
Tutti i personaggi vivono un crescendo narrativo nel corso della puntata. Forse l’unica, per una volta, a rimanere più defilata è l’ormai estremamente nota Dolores, che comincia ad essere anche lei una mina vagante, come l’uomo in nero, per quanto, per il momento, resti ancorata a William e alle sue gesta.
Sotto questo punto di vista va fatto un plauso alle attrici che interpretano i due androidi, Evan Rachel Wood e Thandie Newton, che riescono in ogni puntata – o meglio, all’inizio di ogni ciclo – a dare un pizzico di novità e di cambiamento ai loro personaggi, riuscendo perfettamente a rispecchiare all’esterno i cambiamenti interiori di Dolores e Maeve.
La storyline più interessante di ”Dissonance Theory” sembra essere proprio quella di Maeve che non solo ha ben chiara l’immagine del “viaggiatore di dimensioni”, ma scopre anche di averlo già visto e rappresentato più volte in passato. Sarà particolarmente curioso vedere come questa figura sia diventata un simbolo religioso per molti abitanti di quel mondo e perché gli amministratori del circo non abbiano fatto nulla per rimuovere quest’immagine popolare.
Ed Harris invece vive una puntata più in sordina rispetto alle precedenti, non tanto perché la sua storyline non venga portata avanti, ma perché proprio quando ci saremmo aspettati di arrivare a qualcosa di nuovo, ci viene invece mostrata un’altra volta la stessa scena del pilot.
La scena più bella e intensa della puntata è sicuramente quella fra Theresa e Ford ed è anche bello vedere come questa donna, fino a questo momento apparentemente fredda e impassibile, finisca per essere sempre più piccola ed impotente di fronte all’uomo che ha di fronte, l’uomo che è dietro le quinte, ma che in fin dei conti controlla tutto Westworld.
Anthony Hopkins riesce ad essere a dir poco magnetico in questa scena e a rendere in pochi minuti il suo personaggio estremamente criptico ed affascinante, aumentando anche la curiosità dello spettatore nei confronti del nuovo filone narrativo a cui sta dando vita e che tanto sta sconvolgendo la realtà del parco.
Detta così la puntata potrebbe sembrare di per sé ottima, ma in realtà non siamo di fronte ad uno spettacolo memorabile, come invece ci si poteva aspettare: Westworld è un ottimo prodotto, ben confezionato ma povero di contenuti e soprattutto fin troppo monotono e ripetitivo. Di puntata in puntata continuano a ripetersi gli stessi discorsi e i personaggi umani, che dovrebbero essere importanti, non hanno avuto un minimo di sviluppo, e continuano ad essere riproposte più volte le stesse scene e gli stessi schemi, nel corso degli episodi.
In fin dei conti questo è Westworld e la monotonia e il ripetersi delle situazioni sono effettivamente alla base di tutto, ma questo non giova molto alla serie: lo spettatore dovrebbe riuscire a calarsi completamente in quel mondo, ma è difficile per ora apprezzare questa eccessiva ripetitività. Anche le puntate presentano quasi sempre un inizio interessante e un finale in crescendo, ma una parte centrale sempre estremamente piatta. Un’estrema lentezza narrativa sembra avvolgere la serie e non è un bene per uno show lungo solo dieci episodi; senza contare che con qualsiasi film scritto da Jonathan Nolan e con la sua prima creatura, Person of Interest, nel bene e nel male era impossibile annoiarsi.
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