Non c’è motivo di allarmarsi Bernard. È solo il nostro lavoro passato che torna a tormentarci.
Quando la messa in onda di una serie tv viene costantemente rimandata e le notizie che si hanno sono solo di ritardi, scene tagliate e rigirate, copioni riscritti e fondi mancanti, non si ha una prima buona impressione, anche se a lavorare alla creazione della suddetta ci sono nomi di tutto rispetto come quello di Jonathan Nolan e Lisa Joy (Nolan). Risale all’incirca a tre anni fa la prima notizia di questa serie tv reboot dell’omonimo film e da allora per ogni passo avanti che si faceva, si tornava indietro di dieci. Possono essere molteplici le ragioni per il ritardo della messa in onda di una serie tv (che siano essi accordi tra la produzione ed il network, problemi di budget o del casting), fatto sta che non manda un buon segnale perché è sintomo di qualche problema. E data l’enorme hype che ruotava intorno a questa serie tv principalmente per il cast da capogiro che la compone, ho assistito alla visione del pilot con i piedi di piombo. Insomma, è facile farsi condizionare quando sai che è un prodotto della HBO, che lo sceneggia Jonathan Nolan e lo recita Anthony Hopkins; ed è anche facile lasciarsi condizionare dai continui intoppi di produzione che ne hanno derivato un ritardo di messa in onda di circa due anni.
In ogni caso, qualunque siano stati i problemi riscontrati in fase di produzione, non hanno nessun effetto negativo sul pilot, che al contrario sembra godere di tutta la tensione nata e cresciuta sul prodotto e non si lascia intimorire dalle altissime aspettative che gli pendono sulla testa.
La storia centrale ruota intorno ad un parco a tema sui generis, dove uomini e donne facoltosi possono accedervi per vivere la loro fantasia sul far west. Nel parco viene, appunto, rappresentata la vita nella città di Tucson nel lontano 1880, nella quale viene riportato in vita il mondo che costituiva il lontano west. Saloon, banditi, sceriffi, cercatori di fortuna e portatori di guai, il tutto messo in vita grazie alla creazione di androidi programmati per seguire un determinato copione, con la possibilità di reagire in vari modi a seconda di come si comportano i Visitatori del parco. La trama è essenzialmente la stessa dell’omonimo film, con una sostanziale differenza: mentre nel film viviamo la storia attraverso gli occhi dei Visitatori e, inevitabilmente, ne assumiamo il punto di vista e riserviamo verso di loro tutte le nostre aspettative e speranze, nel suo reboot viviamo la vicenda seguendo la vita circolare – dove la sua fine corrisponde ad un nuovo inizio – di Dolores (interpretata dalla bravissima Evan Rachel Wood). Scopriamo con una certa tragicità che il ruolo degli androidi è quello di essere i perdenti nella storia dei Visitatori, poiché il loro compito è quello di compiacerli e di essere degli accessori nella loro storia. E quando la vita di Dolores si incrocia con quella di un misterioso Visitatore, interpretato da Ed Harris in tutta la sua magnifica cattiveria, ci rendiamo conto che i robot sono delle vittime a tutti gli effetti. Essendo loro dei robot, è giusto provare empatia nei loro riguardi? Scoprendo come la loro memoria venga resettata, ha senso patteggiare per loro che sono fatti di sistemi operativi e software? Sì, ha senso, soprattutto quando l’architetto di Westworld si impegna così tanto a renderli più vicini al mondo umano che a quello della robotica. Anthony Hopkins è uno di quei nomi che non passa di sicuro inosservato e la sua presenza in una produzione televisiva gli conferisce di certo prestigio.
Un grande punto interrogativo che ci accompagnerà nella visione dei dieci episodi che compongono la prima stagione sarà anche quello al quale si potranno dare più risposte discordanti: dove risiedono la coscienza e i sentimenti di un essere? Possono trovarsi solo all’interno di un essere umano in carne ed ossa o possono essere riscontrate anche in esseri dotati di intelligenza artificiale? Il mondo di Westworld si colloca in un futuro ipotetico, che sembra essere il futuro al quale stiamo andando incontro proprio adesso, con il problema di quanto e fino a che punto le macchine potranno sostituire l’uomo. La chiave della visione del telefilm è proprio quella di empatizzare con gli androidi e calarsi nella loro prospettiva. Potrebbe sembrare difficile proprio per la loro natura di macchine, perché non sono altro che programmi obbligati ad attenersi ad un copione, ma è proprio questo aspetto che rende le loro improvvisazioni così interessanti. Sono dovute ad un mal funzionamento di un programma, o sono la nascita di qualcosa di diverso? Di una coscienza, ad esempio. Westworld vuole farci intendere che i sentimenti, i ricordi, la consapevolezza e sì, forse anche l’anima intesa nel senso più spirituale del termine, possono risiedere anche là dove il soggetto non è dotato di intelligenza umana. E l’espressione di Dolores nel suo ultimo risveglio è assolutamente emblematica. Dopo infiniti cicli che ricominciano, qualcosa in lei è rimasto ed è la scintilla che porta a capire che quello del padre non si tratta di un caso isolato. Non so quanti ti voi abbiano mai visto Pleasentville, ma la loro graduale presa di coscienza mi ricorda quella che avveniva nella piccola cittadina televisiva, man a mano che i personaggi scoprivano di essere finti.
“The Original” è un ottimo pilot, che svolge magnificamente sia la sua funzione introduttiva della storia e dei personaggi, che quella di appassionarci al mondo che ha creato. Un mondo vasto perché contiene un mondo nel mondo. Non credo ci sia bisogno di tessere le lodi del suo cast perché le singole interpretazioni parlano meglio di qualunque parola, ma sono davvero soddisfatta del lavoro che sta svolgendo Evan Rachel Wood nel dare vita a Dolores, una delle Host più vecchie di Westworld.
Nel salutarvi, vi invito a passare nel.a pagina di Westworld Italia.