The guests don’t return for the obvious things we do, the garish things. They come back because of the subtleties. The details. They come back because they discover something they imagine no one noticed before. Something they fall in love with. They’re not looking for a story that tells them who they are. They already know who they are. They’re here because they want a glimpse of who they could be.
Ad ogni puntata di Westworld noi, insieme agli Ospiti, alle Attrazioni e ai lavoratori del progetto, ci addentriamo sempre un po’ più in profondità in questo mondo contorto e complicato, dove la vita umana e artificiale si mescolano così bene che spesso fatichiamo a capire quale è l’una e quale è l’altra. Il mondo del Parco è fatto per tirare fuori la vera natura dei suoi Ospiti, ma rivela molto anche di chi ci lavora dietro. Questo lo sappiamo attraverso le parole di Ford, ma era facile dedurlo dalle sole immagini che di settimana in settimana visioniamo.
The Stray si concentra principalmente su due personaggi in questo terzo episodio, due personaggi che sembrano essere un essenziale punto di svolta: l’Errante che dà il titolo all’episodio ed Arnold, misterioso personaggio che passa inspiegabilmente di bocca in bocca tra le Attrazioni. Tutto ciò che succede nel corso dell’episodio ruota intorno a queste due figure. Ma chi sono, allora?
Di Arnold scopriamo in apparenza molte cose, ma di sicuro non abbastanza per capire quale sia il suo ruolo nella storia attuale. Scopriamo, però, il suo passato, che di sicuro è tanto affascinante quanto preoccupante. Arnold, insieme a Ford, è uno dei due creatori dell’intero progetto, successivamente tagliato fuori perché aveva iniziato a perdere la bussola. Come sappiamo da Ford, nei primi tre anni del progetto tutti gli scienziati si sono concentrati nella parte creativa, quella di far nascere dal nulla le Attrazioni: niente ospiti paganti, niente storyline, solo pura scienza e creazione. Tre anni passati a giocare a fare Dio, dai quali Arnold ha sentito il bisogno di richiedere qualcosa in più dalle sue creature androidi – e, oltretutto, ciò che lui ha cercato di fare è anche ciò che tutti noi ci siamo chiesti se fosse possibile sin dal pilot: disporre gli androidi di una coscienza. Una mente bicamerale, come cita Ford attingendo ad una complessa teoria risalente al 1976 e scritta dallo psicologo Julian Jaynes. Non essendo un asso in materia, vi rimando a qualunque motore di ricerca per approfondire un po’ l’argomento, ma per capire una cosa non è necessario essere degli esperti: non c’è da meravigliarsi di come mai Arnold sia stato allontanato dal progetto, dato il suo desiderio di rendere i robot così umani; con le disavventure ed i traumi che gli fanno passare, è un bene che non abbiano memoria o coscienza.
Eppure, qualcosa sta succedendo. Come viene ipotizzato già nella serie, è possibile che alcuni robot siano riusciti ad accedere alla stringa di programma inserita da Arnold e siano riusciti a mettere in moto un meccanismo di recupero della memoria/sviluppo della coscienza.
Allora mi domando: Arnold è davvero morto? Analizzando bene i fatti, soprattutto quelli inerenti alla puntata, sono arrivata alla conclusione che lui possa essere almeno due persone diverse: l’Uomo in Nero e Wyatt.
Sono moltissime le speculazioni che si sono fatte sull’identità dell’Uomo in Nero (interpretato sempre più magistralmente da Ed Harris), e con la rivelazione dell’identità di Arnold, vedo questi due personaggi sovrapporsi. Del MiB (Man in Black) sappiamo poche cose (che sono 30 anni che visita il parco e che sta cercando la strada per un livello di gioco ancora più profondo), ma queste nozioni sembrano incastrarsi perfettamente con quelle dello scienziato. Arnold è morto nel parco e i 30 anni di gioco del MiB mi sembrano molto plausibili con la data della presunta morte di Arnold. Non sappiamo ancora dove porterà il labirinto che sta tanto cercando, ma è così difficile da supporre che lo possa portare sia fuori dal parco che, eventualmente, a terminare il piano iniziato decenni prima? Oltretutto, in una realtà dove tutto viene tenuto sotto controllo, perché MiB può fare esattamente come vuole e fare lo scalpo alle Attrazioni senza che nessuno intervenga? È molto possibile che sia stato lui stesso ad inserire parti della mappa labirintica nel sottopelle di alcune Attrazioni.
Wyatt, invece, fa parte di un nuovo progetto narrativo che Robert Ford vuole inserire, che collimerà con il passato fino ad ora inesistente di Teddy. Wyatt viene descritto come un uomo tornato dalla guerra con delle idee tragicamente rivoluzionarie su come doveva essere la città, idee che inevitabilmente lo hanno portato a perdere il senno. Non vi ricorda nessuno? Giacché in ogni finzione vi è una forte componente di verità, non è possibile che per questo arco narrativo Ford si sia ispirato alla propria vita, a quel partner di lavoro con il quale ha costruito un intero mondo? Sì, è decisamente possibile.
Sull’identità di Wyatt, però, mi sento di ipotizzare anche che lui sia il MiB, perché le sue caratteristiche di follia mi sembrano calzare a pennello anche per il personaggio portato in vita da Harris.
Il secondo filone narrativo della puntata riguarda l’Errante, appunto, the Stray. Allontanatosi dal suo gruppo in maniera del tutto autonoma dopo aver inciso la costellazione di Orione, l’Errante si suicida impietosamente, dimostrando di essere l’ennesima macchina non funzionante del progetto. O forse dimostra qualcosa di più profondo? Dimostra come, in un modo o nell’altro, questi androidi stiano scavando più nel profondo nei programmi che li compongono.
Ne è l’esempio ancor più lampante Dolores, che dapprima ha delle reminiscenze di memoria e in un secondo momento va contro la sua natura non violenta e spara, per salvarsi. Questa azione ha portato alla fuga di Dolores e al suo incontro con Logan e William. Le similitudini tra Dolores e William (e anche il modo dolcissimo in cui la loro storia, una volta, si è incontrata con lui che raccoglie la lattina che generalmente è destinata a Teddy) sono innegabili ed ho la sensazione che la vera storia stia iniziando proprio adesso, con l’incontro di questi tre personaggi.
Colgo l’occasione per aprire una piccola parentesi per parlare delle espressioni stupende di Barnes nei panni di Logan: lo adoro!
L’unico problema che riscontro in Westworld è la lentezza narrativa, soprattutto nella parte centrale della puntata. Paradossalmente, un grande punto di forza di ogni episodi sono i dialoghi, così fortemente allegorici ed evocativi. E, dico paradossalmente, perché in genere i dialoghi tendono a rallentare il ritmo narrativo, che invece viene reso più incalzante dalle scene di azione. Stranamente, con Westworld mi succede il contrario.
Nel salutarvi, vi invito a passare nella pagina di Westworld Italia.