Game of Thrones – Recensione 4×06 – The Laws of Gods and Men

Scrivere di questo episodio di Game of Thrones non è facile. Nel complesso potrebbe sembrare un episodio un po’ così, in realtà vengono gettate le basi per tutto quello che succederà prossimamente e, fidatevi, se anche continuassero (con mia somma disapprovazione) a discostarsi dai libri c’è tantissimo che sta per arrivare. Inverno incluso, ma questo lo sappiamo dalla prima stagione.
Spero vivamente per voi stessi che non abbiate skippato la sigla questa volta. Non si deve mai, mai skippare la sigla di Game of Thrones, perché se no si rischia di perdersi dei punti importanti, come il fatto che da questo episodio in poi abbiamo la comparsa di una nuova Location: Braavos. Situata nella baia degli schivisti, Braavos è una specie di Venezia, formata da tanti isolotti collegati da ponti. Inoltre è la sede della banca di Braavos che come sappiamo è la più importante di Essos e che vanta numerosi crediti anche a Westeros, tra cui uno piuttosto ingente con il trono di spade.
A portarci lì è niente meno che King Stannis. Se ve l’eravate dimenticato di nuovo avete fatto malissimo! Come ci ricorda giustamente Ser Davos, Stannis è l’uomo con la pretesa al trono più solida: è un grande condottiero, un uomo giusto – beh a parte quella cosa che ha ucciso suo fratello per mezzo della sua ombra e lascia Melisandre libera di organizzare roghi in onore del suo Dio Rosso – fratello del precedente Re e stando a certe leggende la reincarnazione di Azor Ahai risorto. Ma questo ai banchieri di Braavos non l’hanno detto perché a quelli le favole non piacciono molto, preferiscono i numeri. In principio nel sentire quelli di Stannis restano perplessi – 4000 uomini su 32 navi e niente per sfamarli – ma come ho detto ci pensa Ser Davos, che in quanto a capacità come Primo Cavaliere non ha nulla da invidiare a Tywin Lannister (ah, se solo anche il nostro compianto Re del Nord avesse avuto un Primo Cavaliere così) a risolvere la situazione. Convince i banchieri ad elargire un prestito a Stannis e assolda un suo vecchio compare di malefatte, Sallador Saan, che con le sue navi andrà a rimpinguare l’esercito di Stannis. Vai che si torna in pista e si rientra in guerra facendo un po’ di rumore.
Permettetemi di dirlo: a me dispiace che il povero Stannis sia maltrattato e un po’ emarginato nella serie, perché è un personaggio interessantissimo. Molti tendono a vederlo come freddo e con in mente solo l’idea di prendere il trono, ma la verità è che invece Stannis ha una coscienza e spesso mette in dubbio le sue stesse azioni (sempre con il saggio consiglio di Davos che è un po’ la voce della sua coscienza). Inoltre l’attore che lo interpreta, Stephen J. Dillane, ha secondo me il grandissimo pregio di rappresentare quel sentore ruvido che cela un uomo consumato dall’idea di essere l’eterno secondo, pur avendo tutte le qualità per essere primo, semplicemente per capriccio degli Dei. Sì, insomma, l’avete capito: Sono Team Stannis! E spero che da questo episodio in poi, con questa apertura, ci sia più possibilità di seguire la sua strategia nel gioco del trono.
C’è stata poi una scena che potrebbe sembrare piuttosto inutile: Dany che riceve i supplicanti. Magari avrete pensato “ma a noi che ce ne importa che debba stare ore ad ascoltare i suoi sudditi? Non ce l’abbiamo mandata noi a fare la regina” beh, il consiglio che vi do è di non sottovalutare le ossa di capra e il fatto che i draghi diventino sempre più pericolosi. Altro che Baby Dragons, come sostiene Cersei. Altra cosa da non sottovalutare è l’introduzione di un nuovo personaggio Hizdar zo Loraq (sì, sempre questi nomi facili…). Nei libri è tutt’altra pasta di personaggio e la tradizione che va a difendere è molto meno onorevole del diritto di seppellire il padre crocifisso – più o meno giustamente – da Daenerys. La scelta di umanizzarlo mi è sembrata una specie di ruffianata verso il pubblico, come se volessero farcelo piacere. Visto che nei libri la sua figura è quanto meno ambigua, non so, al momento sono scettica, ma aperta a tutte le possibilità. Del resto dopo quello che hanno fatto con Shae (ne parleremo ampiamente a momento debito) tutto è possibile.
In generale il personaggio di Dany, proprio come nei libri, comincia a diventare meno piacevole. Nella sua convinzione di voler essere una regina forte e giusta spesso si scontra con la sua testardagine e anche con la giovane età, oltre che con l’inesperienza. Il suo atteggiamento così smaccatamente populista con gli schiavi liberati e i poveri, che diventa intransigente e insofferente quando a trovarsi davanti è uno dei figli dell’Arpia denota un punto fondamentale del suo carattere: è priva di sfumature. È una ragazza che vede tutto bianco o tutto nero, con tre draghi e 8000 immacolati potrebbe essere un grossissimo problema. Pare che l’unico a rendersene conto e a non sottovalutarla sia Tywin. Gli uccelletti di Varys riferiscono e lui da bravo consigliere pensa che questa tipetta vada tenuta sotto controllo; mentre Cersei è tornata in modalità “l’unica regina possibile sono io”; che poi ci sta, è assolutamente nel suo personaggio molto più di quel dialogo assurdo avuto con Margaery nell’episodio precedente. La scena del concilio ristretto di fatto non toglie e non aggiunge niente se non che notiamo che nessuno continua a calcolare Mace Tyrell, uno degli uomini più ricchi dei sette regni che si fa comandare a bacchetta da chiunque.
Andiamo dunque ad una scena ancora più nonsense, non solo perché non c’è nei libri, ma perché rischia di togliere spessore e importanza ad altre cose che devono/dovranno/potrebbero accadere. Stiamo parlando di Yara Greyjoy che prima tratta suo fratello come un cane e poi si convince che comunque, anche solo per salvare la faccia, deve andare a recuperarlo. E via di arrembaggio in pieno stile Pirati dei Caraibi, con gli uomini di ferro che sbarcano e entrano nel castello come nulla fosse. Yara e un manipolo di uomini vanno a recuperare Theon che vive ormai nelle gabbie, con i cani, ma quando cercano di portarlo via – sorpresa delle sorprese – il principe si rifiuta di andare, si dimostra completamente svalvolato e dichiara di chiamarsi Reek. Arriva persino a mordere la mano della sorella, che cerca in tutti i modi – questo va riconosciuto – di portarlo via con sé, ricorrendo anche alla forza. Ma arriva Ramsay, precedentemente occupato in una di quelle scene di sesso che come sempre sono inserite per garantire quei quattro minuti di nudo che, ormai abbiamo capito sono connaturati nella serie, che ne mette almeno tre fuori combattimento e poi fa una cosa che è molto Mr Burns dei Simpson… Sì, avete capito bene, libera i cani! E gli uomini di ferro se ne tornano alle navi correndo e lasciando lì Theon, perché tanto non c’è più niente da recuperare in lui, tanto da indurre Yara a dire che è morto. Cosa c’è che non va in questa scena? Nulla, è anche molto dinamica, recitata e girata benissimo, solo che altera la trama dei libri (e sapete quanto ci sono attaccata) e rischia di creare buchi e confusione nella trama di Yara – nei libri Asha – che in futuro si metterà molto in risalto. Perchè questo è il bello della saga, che di donne con gli attributi non ce ne sono mai abbastanza e sono tutte diversissime e interessanti, ciascuna a proprio modo. Come la risolveranno non è dato sapere, ma io lo ripeto, sono un po’ scettica.
Rimanendo su Theon devo un attimo calmare la fangirl che è in me. Perché la scena in cui Ramsay lo convoca e si congratula per la sua fedeltà è stata secondo me la più bella dell’episodio. Un episodio che ha un finale spettacolare, sia chiaro, ma questa sequenza per me dal punto di vista recitativo e dei dialoghi tocca dei picchi stratosferici. Lo sguardo stralunato, spaventato e sottomesso di Alfie lo consacra come uno degli attori migliori della serie (e a trovarne uno scarso ci vuole un po’ visto che il cast è straordinario, a mio modesto parere). Theon è stato torturato, mutilato, seviziato fisicamente e psicologicamente, umiliato e vessato in tutti i modi possibili fino a sviluppare una sindrome di Stoccolma che ha dell’incredibile; è arrivato a rinnegare la sua stessa famiglia per paura e rispetto di Ramsay. Il bastardo di Bolton, che lo sa, è più che fiero della sua creatura e nel mostrare una inaspettata gentilezza – la tensione durante tutta la sequenza in cui Theon è nella vasca da bagno si taglia con il coltello – gli affida il compito più arduo possibile: fingersi sé stesso. Dopo averlo torchiato per trasformarlo in Reek e dopo essersi assicurato che non sia rimasto niente del principe di Pike, gli viene chiesto di calarsi nel ruolo del sé stesso che era. Il sadismo di questa scelta ci dà la cifra di quanta crudeltà ci sia nel personaggio di Ramsay Bolton che rappresenta effettivamente il bastardo in tutte le qualità negative (così come Jon rappresenta invece il riscatto da quella condizione). L’ambiguità dello sguardo di Iwan Rheon rende perfettamente lo squilibrio del personaggio alternando una sorta di innocenza dissociata completamente dalla realtà, all’aria più classica da psicopatico. Per questo, nel complesso, questa scena è la meglio costruita, anche sulla base della scelta delle inquadrature che ci restituiscono l’espressività di entrambi gli attori, il loro linguaggio del corpo e che ci danno indizi anche attraverso la prossemica. E qui la chiudo perché ho capito che sto diventando noiosa, ma vi assicuro che potrei continuare parlando della scelta delle luci e dei chiaro/scuri. Ma mi zittisco. E sì, ci sarebbe anche da sottolineare quanto sia assolutamente perfetto il leggero commento musicale, con quel tono teso che sembra stia per irrompere un metalupo nella stanza da un momento all’altro. Ma no, non devo aggiungere altro.
Vogliamo andare ad Approdo del Re? Andiamoci su, assistiamo al processo del secolo che si prende un terzo di puntata. Abbiamo già accennato alla scena del concilio ristretto e non è il caso di tornarci su, ma prima di dedicarmi a Tyrion e Jaime e alla loro immensità, faccio una piccola digressione per accennare alla scena in cui Varys e Oberyn si incontrano nella sala del trono per confrontarsi. Sembra che entrambi parlino sapendo che l’altro sappia più di quanto non dica, ma non conoscendo effettivamente quanto potrebbero dire senza scoprire troppo le proprie carte. E’ una partita a scacchi intensa e breve, giocata su piccoli accenni e mezze frasi, come accenti ripuliti e curiosità sui gusti sessuali che in realtà rivelano che l’assenza di desiderio apre la mente. Lo sguardo di Varys sul trono di spade è emblematico. Il ragno tessitore si è sempre dichiarato un servitore del regno, ma forse non è così, forse non è servire la sua reale ambizione. O c’è altro da scoprire? Il mio consiglio spassionato anche in questo caso è: prendete appunti per il futuro.
Dicevamo, il processo di Tyion che viene scortato nella sala del trono in catene. Il re, da bravo, recita la frasetta che il nonno gli ha insegnato e poi se ne va, lasciando Tywin a presiedere il processo, insieme ad Oberyn Martell e Mace Tyrell.
Si succedono in ordine sul banco dei testimoni: Ser Merryn Trant, il maestro Pycelle, Cersei, Varys e Shae. L’unica cosa che rende davvero interessante il processo non sono i continui tentativi di Tyrion di discolparsi dalle accuse faziose e dai fatti che vengono raccontati in maniera sommaria, unicamente per farlo apparire come colpevole di regicidio; la verità è che a rendere questo processo qualcosa più di una palla sconfinata sono le battute di Oberyn che sembra a tratti divertito e ad altri annoiato dalla gigantesca farsa messa in piedi, come se in qualche modo avesse quanto meno il sospetto che Tyrion sia stato incastrato. Ancora una volta vi invito a non sottovalutare questi piccoli indizi, perché se ci fate caso potrebbero farvi capire cosa succederà in seguito.
La parte più interessante del processo è ovviamente quella che vede coinvolta Shae, che si scopre testimone chiave dato che ammette senza possibilità di dubbio che Tyrion ha ucciso Joffrey per fare un piacere a sua moglie Sansa; complice dell’omicidio dato che il veleno usato per uccidere il re era – come sappiamo – nella sua collana. Se fino a quel momento il Folletto si è dimostrato perfino spavaldo e strafottente nei confronti degli altri accusatori – riuscendo a reggere persino la testimonianza di Varys, che gli mette sulla schiena un bel carico da undici, confermando che non è amico di nessuno, forse nemmeno di sé stesso – nel momento in cui vede Shae, Tyrion si spegne del tutto, abbandona ogni speranza. E se già nel libro è toccante, devo dire che nella serie lo è anche di più. La Shae dei libri è molto più venale e attraverso piccoli gesti o parole ci fa comunque capire che è una prostituta e che sta con Tyrion per puro interesse. Quella della serie ci aveva convinti che lo amava invece, che lo amava davvero. Quando entra a testimoniare contro di lui, condannandolo di fatto, abbiamo un po’ tutti la reazione di Tyrion, accasciati sulla sedia e sconfitti.
Prima di andare avanti fermiamoci un attimo perchè tra una confessione e l’altra, Jaime va da suo padre e lo prega di salvare la vita del fratello minore; arrivando anche a sacrificare la sua integrità (perché sì, ne ha una ed è sempre più in crescita, e questo gesto in realtà non fa che fargli fare un altro passo in avanti nel cammino di redenzione iniziato tempo addietro); assecondando il volere del padre, lasciando il suo posto di comandante delle guardie reali, accettando di sposarsi e di assumere il ruolo di Lord di Castel Granito; non vuole altro che la vita di Tyrion sia risparmiata. E Tywin che non aspettava altro con una zampata lo agguanta e lo condanna, acconsentendo ad accordare la grazia a Tyrion, che verrà giudicato colpevole, ma che potrà andare alla Barriera, tra i Guardiani della Notte. Tyrion questo lo sa, Jaime glielo dice, lo invita a confessare e chiedere misericordia e lui è pronto a farlo. In fondo la Barriera non gli era dispiaciuta poi tanto. È pronto a fare quello che deve per restare in vita, ma Shae sconvolge tutto.
E il cambiamento è sulla faccia di Peter Dinklage in tutta la sua disperazione. La delusione e il senso di tradimento si trasformano in furia e scagliandosi conto i giudici e tutta la corte ammette tutto il suo disprezzo per quella gente che non meritava il suo sacrificio durante la Battaglia delle Acque Nere. Tutti loro non sono che ruffiani e traditori; si rende conto che non potrà trovare giustizia da loro, che non sanno nemmeno dove stia di casa e allora si affida per la seconda volta ad un processo per singolar tenzone. Che siano gli Dei a giudicare se sia colpevole o meno. L’episodio si chiude di nuovo con Le piogge di Castamere; perché un altro leone è pronto a morire ma ancora non è morto ed ha artigli lunghi ed affilati che non desiderano altro che graffiare e dilaniare chi lo ha ridotto in catene.
Sebbene la costruzione della scena sia piuttosto statica e le reazioni del pubblico un po’ stucchevoli la prova di recitazione di Peter Dinklage, come ho già detto, è straordinaria; in certi momenti la sua voce ha una tensione ringhiata che ricorda effettivamente il ruggito di un leone ferito, ancora pericoloso. Pur se piccolo, Tyrion appare come un gigante e la sua ombra si staglia su tutta la sala del trono oscurando ogni altro, facendo quasi tremare e lasciando chi guarda quasi stordito. Ripeto, non è tanto cosa dice ma come lo dice, toccando le giuste corde dentro sé stesso ed estendendo quel senso di lacerazione a tutti gli altri.
Ammettetelo… siete ansiosi come me di vedere il prossimo episodio. Il lunedì mattina sembra così terribilmente lontano!

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