Homeland – Recensione 3×02 – Uh Oh Ah

 

tumblr_mu5kz4x9iw1remmj0o1_500Lo scontro fra Carrie e Saul continua ad animare Homeland, proseguendo sulla stessa lunghezza d’onda della season première, colmando il vuoto lasciato dall’assenza di Brody.

Il conflitto prosegue, in maniera velata e indiretta per tutto il corso della puntata, per poi giungere a una risoluzione finale durante la conclusione dell’episodio, con uno scambio faccia a faccia tra i due protagonisti.

Avevamo lasciato Carrie in lacrime, di fronte al televisore, ad assistete alla sua “esecuzione”, tradita dal suo mentore nonché amico, che è sempre stato presente per lei. La Matheson non sta con le mani in mano di fronte a questo terribile colpo basso che le è stato assestato, e decide di dare la sua versione dei fatti, determinata a far uscire sui giornali la verità, ossia che la CIA sapeva di Brody fin dall’inizio. Il rischio che l’Agenzia corre è troppo grande e Carrie deve essere fermata a tutti i costi. La soluzione migliore? Internarla, il fatto che l’Agente della CIA abbia smesso di prendere le medicine non aiuta, e la ragazza si ritrova a fare i conti con i suoi fantasmi. Le scene che accompagnano la protagonista sono atroci e strazianti ed è impossibile non immedesimarsi o provare empatia nei suoi confronti. Quante ancora ne dovrà subire?

Angosciante la scena in cui a Carrie vengono somministrate le medicine con la forza e lo stesso vale per gli ultimi 20 secondi della puntata, in cui Saul va a trovare Carrie in clinica per dirle che gli dispiace e ricevere in cambio un: “Fuck you, Saul.” Come biasimarla d’altro canto.

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Bizzarra è l’evoluzione del personaggio di Saul Berenson, che abbiamo imparato a conoscere come un leale amico e agente incorruttibile con una sua etica. In questo inizio di stagione, tutto si capovolge, e il Saul che conoscevamo sembra scomparire del tutto e lasciare il posto alla sua ambizione, in pratica al suo dark side. Lo dimostra il suo comportamento nei confronti di Carrie ma anche di Fara, nuovo personaggio e nuovo agente dell’Agenzia, esperta di transizioni bancarie e chiamata a rintracciare Majid Javadi, colui che ha finanziato l’attacco alla CIA.

Fara è musulmana e ha del coraggio da vendere, tanto che si presenta sul posto di lavoro col velo, gesto che viene visto come un voler prendere in giro coloro che hanno subito l’attentato. Determinanti le dure parole che le rivolge Saul e la scena che li vede protagonisti che è forse una delle migliori della puntata. E anche in questo caso emerge il lato spietato del nuovo Direttore dell’Agenzia. Chissà cosa ci riserverà l’introduzione di Fara.

Vince il premio di miglior personaggio dell’episodio, almeno a mio parere, Peter Quinn. Tra tutti è l’unico che sembra avere a cuore il destino di Carrie e infatti è l’unico che le offre il suo aiuto, anche se non essendo stabile la protagonista lo rifiuta. Peter viene umanizzato, rispetto all’Agente Quinn che eravamo abituati a conoscere, complice anche l’assassinio del bambino compiuto da parte sua durante la scena di una missione, vista nel primo episodio. Sono cariche di significato le parole che Peter rivolge al Direttore della CIA, durante il significativo confronto fra i due, in cui l’Agente chiede spiegazioni riguardo quello che sta succedendo a Carrie ed esprime la sua disapprovazione riguardo i metodi adottati dall’Agenzia.

Saul: “Peter, è stata una settimana difficile, ne sono conscio. Ma abbiamo qualcosa e se ci conduce dove penso, ne sarà valsa la pena.”

Peter: “Non saprei, Saul.”

Saul: Abbi un briciolo di fede.

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Peter non ci sta e l’evoluzione prevista per questo personaggio promette bene, speriamo che venga gestita nel modo giusto. Per quanto Saul si faccia odiare, il suo personaggio è ben scritto, non c’è che dire. Sentirgli pronunciare quelle parole dimostra la sua ambizione, fare del male a una collega per catturare un terrorista, e per Carrie riemerge l’ombra del tradimento, tradita anche dai suoi familiari su consiglio del suo ex amico fidato, che a quanto pare la sta aiutando a non rendersi un bersaglio. Sicuramente arriveremo a un punto di non ritorno e a livelli di tensione massima.

Quello che non funziona, è la storyline riguardante la famiglia del deputato Brody che, parliamoci chiaro, senza di lui non funziona proprio. L’intreccio riguardante la storia di Dana cerca di prendere il via, e anche se migliore in questa puntata rispetto alla precedente, non convince. Ci viene raccontata la verità circa il tentato suicidio della figlia, che ha ritrovato la sua voglia di vivere grazie a Leo, il suo amore adolescenziale. Abbastanza banale, no?

La scena in cui Dana funziona di più, è forse quella in cui trova il tappetino con il quale Brody pregava, e ci si distende quasi come a cercare di capire i gesti del padre e cosa lo ha portato ad agire in quel modo, a calarsi nei suoi panni.

Anche questo episodio si svolge lentamente e non ritrova quella componente thriller che gli autori ci hanno promesso. Homeland deve ancora cercare di ingranare in questo senso, ma una volta fatto, sicuramente ritroverà la sua vera natura che ha conquistato noi telespettatori.

Finalmente la prossima settimana tornerà Brody…FINALMENTE! E allora si che ne vedremo delle belle.

 

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