Homeland – Recensione 4×11/4×12 – Krieg Nicht Lieb/Long Time Coming

0102
0304

Dopo aver recensito il doppio episodio che ha fatto da apertura a questa magnifica quarta stagione di Homeland, mi ritrovo qui per tirare le somme di una stagione che ha lasciato tutti – specialmente gli scettici – piacevolmente impressionati di fronte ad una serie che ha saputo reinventarsi nel migliore dei modi.
Visto che è festa per tutti, anche noi animali da soma abbiamo un po’ allentato il tiro e per questo, in via del tutto eccezionale, la recensione degli episodi conclusivi di Homeland è stata accorpata in una sola… ma appunto, è Natale, quindi sarò buona e soprattutto, sintetica.
Krieg Nicht Lieb si apre come un episodio lento e riflessivo, che per la sua prima metà ci inganna facendoci credere di essere un episodio di passaggio in attesa del season finale. Invece, negli ultimi venti minuti, ci obbligano a stare sull’attenti, catapultandoci in ciò che ci saremmo aspettati solo nel finale di stagione.
Krieg Nicht Lieb è un episodio che vede Quinn come protagonista indiscusso, nei panni di un uomo tormentato che fino ad ora avevamo avuto modo di vedere solo in superficie e di cui la serie non può proprio privarsi. Vedere la sua amica e collega, la bellissima Fara, morire sotto i suoi occhi ed insieme a lei moltissimi altri colleghi, ha fatto scattare qualcosa in lui. Se all’inizio non voleva recarsi ad Islamabad per il desiderio di lasciarsi la vita da assassino alle spalle, adesso non può lasciare il campo di battaglia senza aver tentato il tutto per tutto per vendicare le persone che ha perso. Proprio come l’agente tedesco dice a Carrie, di tanto in tanto a Quinn piace credere di riuscire a smettere di uccidere, ma alla fine torna sempre sui suoi passi. E questa suona proprio come una condanna a morte, specialmente se visto con il senno di poi di chi ha visto il season finale. Rupert Friend è magnifico nel ruolo di Quinn ed anche in questo caso mi ritrovo a dire che la dipartita di Brody è servita per permettere ad alcuni personaggi altrimenti secondari di emergere. È il caso calzante di Peter Quinn, che finalmente ha dato prova di poter mandare avanti la baracca anche da solo, riuscendo ad oscurare perfino Carrie.
Nonostante Carrie viva in un mondo dove la morte è spesso vista come una perdita necessaria, ci sono alcune perdite che non possono lasciarla indifferente e la aiutano a rivalutare gli eventi secondo una prospettiva nuova. La dipartita del padre colpisce la donna come un fulmine a ciel sereno e le infonde la determinazione giusta per correre a salvare Quinn. Va detto che Homeland, ancora una volta, ha saputo sfruttare al meglio un triste evento rendendolo funzionale ai fini dello snodo della trama. Infatti la morte del padre di Carrie è subordinata alla triste morte dell’attore che lo interpretava, James Rebhorn, ma anziché lasciare al caso la morte del padre di Carrie, magari introducendolo come fatto assodato nella premiere, rendono l’evento cardine ed essenziale per lo sviluppo degli eventi.
Quindi, mentre Carrie convince con rammarico Quinn a lasciar perdere proprio quando l’uomo stava con l’indice vicino al grilletto lasciandosi andare ad uno sconsolatissimo “we lost, Quinn“, ecco che la stessa Carrie si avvicina a tornare la matta di un tempo, quella che agisce senza ragionare e che sovrasta ogni tipo di buon senso con un solo eclatante gesto. Con un Haqqani inneggiato a divinità, che si espone alla folla convinto ormai di essere invincibile, Carrie ricorda le orribili perdite che ha subito per colpa di quell’uomo e tenta di ucciderlo. Viene fermata all’ultimo da Khan, altra scoperta piacevole di questa stagione, che la obbliga a puntare l’attenzione su un particolare che le era sfuggito: all’interno della macchina, insieme ad Haqqani, ecco far capolino Dar Adal, famoso voltagabbana della CIA.

tumblr_nhb2f9YiHf1rl76rio2_r1_500Con questa immagine scioccante si chiude Krieg Nicht Lieb, quando, invece, riprende le fila Long Time Coming, gli avvenimenti della puntata precedente sembrano ormai lontanissimi nel tempo. Come già preannunciato, Carrie ha lasciato Islamabad ed è tornata a casa, ma non solo per ordine per Presidente degli Stati Uniti (insomma, sappiamo bene che se Carrie non avesse voluto fare ritorno, non lo avrebbe fatto punto e basta), ma soprattutto per salutare un’ultima volta suo padre e riconciliarsi con quegli affetti che nel tempo era andata perdendo. Questa quarta stagione ha visto Carrie passare da uno stato di follia razionale, la stessa follia che ha rischiato di farle uccidere Saul, ad un pragmatismo totalmente inaspettato, lo stesso che le ha permesso di far tornare Quinn in suolo americano sano e salvo. Finalmente vediamo Carrie meticolosa nel prendere le medicine, consapevole di se stessa e dei suoi limiti, e la lasciamo mentre dà il suo ultimo saluto alla persona che più di tutti poteva capirla, perché simile a lei. Sono in molti ad essersi lamentati di questo finale, sono in tantissimi a non averlo apprezzato ritenendolo inferiore rispetto ad una stagione stilisticamente e narrativamente perfetta ma io, al contrario di queste persone, l’ho trovato il giusto collante tra una quarta stagione ottima con una quinta stagione ricca di ottime promesse. Il personaggio di Carrie, prima di tutti, aveva bisogno di un episodio così lento, gemello di una premiere altrettanto lenta ma che mette i comportamenti della donna in netta contrapposizione. Avevamo trovato Carrie, 12 episodi fa, completamente fuori di testa, a tal punto da tentare di uccidere la sua stessa figlia; ma, come la ritroviamo? La troviamo finalmente consapevole dei suoi obblighi e dei suoi doveri, stanca di dover perdere continuamente le persone a lei care e, in completa contrapposizione con il suo passato, la troviamo responsabile nei confronti di quella creatura che solo adesso capisce di volere davvero. Allora, mi domando, come si può non ritenere ottimo un episodio che riesce a trasmetterci tutto questo? I season finale non sono fatti solo di cliffhanger da WTF, né di continue esplosioni e impiccagioni. Ci sono delle volte in cui una stagione ha bisogno di qualcosa di più statico, per fare un po’ il punto della situazione, e questo è il caso di Homeland. La quarta stagione è stata eccelsa, impeccabile sia dal punto di vista narrativo, che stilistico, arricchita da un cast formidabile e con un nemico che non ha assolutamente niente da invidiare al tanto rimpianto Abu Nazir. I ritmi a volte frenetici a volte lenti di questa quarta stagione hanno soddisfatto tutti, ma proprio in virtù di una seconda metà di stagione al cardiopalma, era necessario un finale più emotivo ed in questo Long Time Coming non delude; ci prepara per la quinta stagione mettendo in moto alcuni meccanismi.
A settembre, quindi, vedremo di nuovo Saul a capo della CIA, grazie all’aiuto di Dar Adal che, scopriamo, non si trovava insieme ad Haqqani in veste di traditore del proprio Paese, ma per stringere un accordo con il terrorista – e queste due cose, agli occhi di Carrie, non sono poi tanto diverse. Ma Saul capisce l’esistenza di un bene maggiore e così accetta i compromessi di Dar Adal tradendo la fiducia di Carrie.
Dal punto di vista emotivo, Carrie però ha molto con cui fare i conti. In primis ci sono i suoi sentimenti per Quinn, che finalmente emergono con un bacio che io aspettavo da due stagioni, portatore di tante promesse che, ovviamente, non riesco ad essere mantenute nemmeno per la durata di una puntata. La voglia di Quinn di lasciarsi alle spalle gli orrori del suo lavoro svanisce nel momento in cui Carrie si allontana, ma noi questo lo sapevamo già. Ci era stato preannunciato nella precedente puntata, e nonostante questo non possiamo fare a meno di rimanere un po’ allibiti. Tutta la fatica e la pazienza di Quinn, vengono rese vane da una decisione presa quasi per ripicca. E così, mentre Carrie comprende che la sua malattia non è un impedimento per le sue relazioni – in un confronto con la madre forse un po’ forzato, ma sicuramente necessario, Quinn parte per una missione suicida.
E quindi è con questa amarezza che si conclude la stagione, gettando comunque delle solide basi per la quinta stagione, che sicuramente vedrà Carrie nuovamente sotto pressione e, per una volta, in lotta contro coloro che dovrebbero essere i suoi alleati.

VN:F [1.9.22_1171]
Rating: 9.5/10 (4 votes cast)
VN:F [1.9.22_1171]
Rating: +2 (from 2 votes)
Homeland - Recensione 4x11/4x12 - Krieg Nicht Lieb/Long Time Coming, 9.5 out of 10 based on 4 ratings