Orange Is The New Black – Recap Season 2

Con queste serie della Netflix rilasciate tutte in un giorno è difficile per noi recensori individuare il tempo adeguato per fare il nostro commento alla stagione: c’è chi fa binge-watching dell’intera stagione in pochi giorni senza subs, chi preferisce aspettare che venga sottotitolata tutta la serie per guardarla tutta insieme, o anche chi, come me, ha guardato la serie gradualmente con l’uscita dei sottotitoli.

Se nella scorsa stagione di OITNB abbiamo imparato che spesso la vita delle persone è la risultante di coincidenze poco fortunate, in questa seconda stagione abbiamo invece imparato che spesso sono le persone a compiere le scelte della propria vita, e spesso sono spinte da cattive abitudini che le faranno ritornare sulla stessa strada da cui tentano di allontanarsi. Il bello di tutto questo, però, è che la vita non si riduce di certo a questa irreversibile e nera equazione, infatti gli affetti e il rispetto del prossimo spesso possono farci raggiungere risultati mai sognati, e possono portare ad una comunione di interessi che crea una forza rivoluzionaria. Fate bene se state anche voi pensando a Soso e al suo sciopero che ha stravolto gli equilibri a Litchfield, ma mi riferisco anche a tante altre piccole scene toccanti come quelle tra Rosa e Morello, a Red e le Golden Girls, o ancora Healy e Pennsatucky. Le amicizie, i rapporti umani tra tutti i personaggi del carcere, inclusi i guardiani, si sono inspessiti in questa stagione, hanno raggiunto maggiore solidità e hanno sicuramente portato con essi più realtà e più emozioni nella serie.

“Maybe this prison has a heart”

Un cuore pulsante questa prigione, la protagonista principale di una stagione che tenta di distaccarsi dalla storyline di Piper Chapman per cercare una individualità superiore e più astratta (e significativo è infatti che quelle parole escano proprio dalla bocca di Piper).
Litchfield è malata, è corrotta e il bel sistema funzionante che Morello ricorda agli investigatori della 2×13 ormai è solo un bel ricordo. In questa stagione, infatti, Litchfield è stata sottoposta ad una dura prova, da un personaggio che ha incarnato i tratti tipici del peggiore dei villain: avida, malefica seduttrice, meschina oltre ogni immaginazione. Sto chiaramente parlando di Vee Parker, il tremendo uragano che ha trascinato l’intera prigione, carcerate e guardie, in un conflitto che cresceva a vista d’occhio. Antagonista violenta e misurata, impossibile da empatizzare – anche se l’autrice Jenji Kohan cerca di farci almeno comprendere perché agisce in questo modo – la sua forza distruttiva travolge principalmente Taystee e le altre black girls: Watson finisce di nuovo in isolamento, Cindy continua ad essere l’egoista che non pensa mai al futuro ma solo a se stessa, Suzanne viene corrotta e traviata fino all’estremo, perfino la dolce Poussey viene raggirata. Le ragazze vivono momenti di alta tensione, che avranno una conclusione lieta quando una delle loro black sisterspazza che sia, viene esposta ad un serissimo rischio.

Altri sintomi patologici del malanno che attanaglia Litchfield provengono dal lato guardie: in questa stagione scopriamo sempre di più su quest’altra importante parte della compagine della prigione, approfondendo anche i rapporti tra di loro e con le carcerate. Nella figura di Caputo possiamo individuare l’alter ego di Piper tra i membri dell’amministrazione di Litchfield, perché attraverso il suo percorso conosciamo di più la storia degli altri, e in particolare di Fisher e di Figueroa: la prima, tenera rosa in un mare di fango, brutalmente licenziata e la seconda brutalmente “fottuta” in più modi (e aggiungerei anche giustamente). Il valore aggiunto di una serie come questa – che la rende proprio una serie da vedere (10 motivi per recuperarla) – è proprio l’abilità di tutti coloro che lavorano in questo show di rendere al meglio le migliaia sfumature dietro ogni azione dei personaggi: non ci sono i buoni e i cattivi, il bianco e il nero, ma le ambizioni di ogni personaggio sono così intrecciate con interessi secondari o secondi fini che alla fin fine definire quella una buona o cattiva azione non riesce più tanto facile come ci potrebbe sembrare all’inizio. Caputo, ad esempio, ha la buonissima intenzione di rendere questo carcere rieducativo, quello che veramente dovrebbe essere. Ma il suo non rinunciare al piacere di sottomettere la Figueroa, il voler tenere nascosto l’errore di Bennett, il convincere la suora a fermare la protesta, sono tante piccole azioni che dimostrano quanto questo personaggio sia in realtà disposto a compiere azioni collocate nella grandissima area grigia tra giusto e sbagliato pur di ottenere ciò che lui crede sia meglio per tutti – ma in primo luogo per sé. In questo, in fondo, non è tanto diverso dalla Figueroa stessa, che cercava la propria felicità assecondando un marito sfruttatore, convinta di poter aiutare con la politica la causa delle carceri.

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Se di zona grigia si parla, non si può di certo non parlare della dolcissima Jimmy Cavanaugh, la vecchietta che in questa stagione ha intenerito mezzo mondo con il suo “ROBERTAAAAAAA”. Personaggio di background che ci ricorda come qui in OITNB ogni personaggio può regalarti momenti di forte emozione e soprattutto di riflessione (in questo caso la Kohan vuole inserire il tema della demenza senile nei carceri). Così come Jimmy, anche Cindy è in fondo un personaggio di background, almeno per tutta la prima lo è stata. Eppure anche lei ci regala una perla di saggezza:

[Riferendosi alle compagnie del tabacco] La gente decide da sé se vuole fumare. Il vero male sono loro, compagnie che ci uccidono senza permesso. Monsanto… Rio Tinto… Big Pharma… Bp, Halliburon. Sto leggendo “C’è qualcosa di brutto nell’aria”. Non che questi stronzi assumerebbero mai noi. Ma i veri criminali… non si preoccupano di noi piccoli temporeggiatori.

In questa stagione le retroguardie tra i personaggi hanno fatto un passo avanti, e un passo più che deciso: Morello diventa un po’ l’angelo buono di Litchfield, le sue parole sono di conforto per tutti e la gente ammira la sua ingenuità e bontà d’animo, anche se tutti in fondo sanno che vive in un sogno – e finalmente abbiamo l’occasione di vedere l’origine di tutto questo; la già citata Cindy forse è riuscita a vedere una luce alla fine del tunnel perpetuo dei suoi fallimenti e forse il carcere la può cambiare in meglio; la suora Ingalls era già entrata nel cuore di tutti noi nella prima stagione, e la sua backstory non ha fatto altro se non renderla più umana e amabile agli occhi nostri. Come non citare, infine, Miss Rosa, da piccolissima decorazione della prima stagione è passata ad avere forse la migliore delle storyline di questa stagione: l’amore incontrollabile per le rapine, la maledizione degli uomini nella sua vita, il cancro, la compassione per il ragazzino e il finale col botto – ma col botto per davvero – con quella bellissima chiusura di tutto un cerchio, un esempio del butterfly’s effect nella vita di tutti noi, sulle note di (Don’t Fear) The Reaper dei Blue Oyster Cult.


Altro leitmotiv della stagione è l’amicizia di Poussey e Taystee, dichiarata a gran voce sul web una delle amicizie più belle della TV. Il loro rapporto ha catturato l’attenzione di tutti nella prima stagione, soprattutto in quella scena strappalacrime di Fucksgiving, e in questa stagione è stato approfondito massicciamente. Le due hanno un rapporto che è sicuramente qualcosa di più di una amicizia, ma che non può essere amore. È quasi fisiologico, però, che momenti di intimità possano portare a mosse azzardate. Il problema questa volta è che la subdola Vee è lì in agguato e non si lascia sfuggire l’opportunità di separarle, facendo leva sui pregiudizi del “ghetto” sulle lesbiche e sull’importanza della “famiglia”. Nonostante la presenza di ostacoli simili, l’amore e quanto esso sia immenso ed incontenibile sono i protagonisti del bellissimo episodio “You Also Have a Pizza” in cui i flashback della vita di Poussey si intrecciano con mini-interviste alle varie inmates che Piper sta facendo per poter scrivere un articolo sulla sua neonata newsletter.


Piper non la sto di certo dimenticando, ma il discorso su di lei è sicuramente più complesso: la sua storyline, come abbiamo già detto, va piano piano riducendosi per lasciare spazio a Litchfield nel suo insieme e allo spirito corale proprio della serie. Nonostante questo, l’intera première è incentrata su di lei e personaggi del suo mondo ottengono ancora screen space senza motivi ben precisi. Non fraintendetemi però: Alex è giusto che sia presente e non vedo l’ora che torni regolarmente a Litchfield; e le scene del funerale/matrimonio sono state davvero toccanti e interessanti. Ma Larry?! Seriously, Larry?!? Va bene che è l’impulso per alcune scelte di vita di Piper (iniziare newsletter, rispondere ad Alex) ma è davvero così necessario ormai? Quanto ancora potrà esserci utile nella terza stagione?
Nonostante questi dubbi, Piper continua ad essere un importante elemento del pulsante cuore della prigione, lei unisce gente dei diversi gruppi, riesce ad ascoltare e aiutare chi viene abbandonato (Jimmy), ha un ottimo rapporto con l’amministrazione e riesce a far smuovere le cose nel verso giusto. Il personaggio si è evoluto nel corso degli episodi - e non manca certo di farcelo notare – diventando più dura, più calcolatrice e vendicativa, più grata e riconoscente, ed è interessante come ne parla Taylor Schilling in questa intervista.
L’evoluzione del personaggio tocca tanti personaggi che le ruotano intorno, prima fra tutte Soso, l’ultima arrivata:  in lei riesce a rivedere se stessa, ma le due sono in realtà diverse e si capisce dallo scambio di frasi “non penso che sarò più la stessa quando uscirò - e forse è ok – non lo è assolutamente“: Piper vuole cambiare, vuole ed ha sempre voluto inseguire un’altra se stessa che finalmente sta trovando qui, nel carcere e nelle sue regole e non-regole; Soso invece è una true believer, le sue azioni e le sue parole sono sempre piene di significato per lei e la rassegnazione che si intravede nel finale di stagione viene schiacciata da quel “it’s not fucking ok” dello scambio di battute di cui sopra.
Red è un’altra importante protagonista non solo della storia di Piper in questa stagione, ma per Litchfield nel suo complesso. Lei è infatti l’alter ego della malvagia Vee, e il suo percorso di redenzione ci ha portato a conoscere un altro gruppo di carcerate, le tanto tenere vecchiette che pur di difendere la loro nuova amica Red sono disposte a tutto. La nuova condivisione di stanza tra Red e Piper è significativa per l’evoluzione di entrambe: la seconda impara il significato di altruismo e mente pur di donare un sorriso, Red invece da quella menzogna sviluppa un istinto di conservazione sempre più forte, perché ha interesse a tornare dalla sua famiglia, alla sua attività e Vee è il suo ostacolo.

Vee, Vee pazza Vee, una donna che pur di farla franca darebbe in pasto ai leoni le persone a lei più care, e che non smette mai di raggirare le persone con le sue lezioni di vita (Amazon che abbassa i prezzi dei libri paragonato a vendere Crazy Eyes come colpevole, davvero?!). Litchfield, nonostante tutto, ha sempre avuto un suo sistema funzionante e, come dice Suzanne “we have manners, we’re polite!”: il season finale vuole sottolineare proprio questo, che lì dentro ci sono delle maniere che Vee, la sgarbata Vee, ha mandato all’aria, e a Rosa non piacciono proprio le persone sgarbate!

Non voglio chiudere questo lungo recap della stagione senza parlare delle ispaniche! Anche loro, come tutti gli altri personaggi, hanno avuto molto più spazio in questa stagione, e in particolare Gloria ha avuto un intero episodio dedicato alla sua backstory. Gloria e il suo gruppo cercano di mantenersi il più pulite possibile, non scelgono alcuna parte in questo conflitto, ma non restano di certo neutrali, favorendo in un qual modo le une o le altre. La loro garanzia resta il fatto di tenere Bennett per le corna, come si suol dire, e con lui riescono ad ottenere qualcosa di contrabbando e più protezione. Di certo ora che Caputo è al comando e Bennett ha confessato, le ispaniche non avranno più tutto questo ascendente su di lui, anche perché il bambino prima o poi dovrebbe nascere.

Orange is The New Black season 2 ci lascia anche quest’anno, dopo averci intrattenuto con risate, tensione, tenerezza e sentimentalismi. La direzione corale che lo show sta seguendo è sicuramente ciò che vogliono gli spettatori – oltre ciò che la storia necessariamente richiede in quanto la vita di Piper la conosciamo già abbastanza – e non vediamo l’ora di conoscere molto di più delle inmates nella terza stagione.

 

Note speciali:

+ “I’ve masturbated to an especially ripped Jesus statue.”

+ Sophia continua così! Apprezzo tantissimo i suoi momenti ed ogni sua scena!

+ Nicky non ha ancora una sua storyline precisa, ma continua ad essere un funghetto che sta un po’ ovunque. Anche se dal finale e dalle riprese già iniziate capiamo e sappiamo che avrà un altro episodio sulla sua backstory.

+ Boo e la sua solitudine autoinflitta la porteranno in brutti posti nella prossima stagione.

+ Come per Nicky, anche per Pennsatucky il peso nella storyline principale si è ridotto e con esso le sue scenette davvero spiritose. Anche lei si sta addolcendo e si sta adeguando al modo in cui le cose a Litchfield funzionano. Lei e il suo taglio.

+ La sottile storyline delle due guardie, Scott e Wanda, è lo spazio comedy che tanto ci serve. E poi sono tanto shippable :3

+ L’accuratissima definizione di amore di Maritza e Flaca + the pizza ci ha regalato un momento di BFF-ing che ci ha fatto provare tanta empatia per queste ragazze, dopo averle odiate per il trattamento che hanno riservato a Natale a Suzanne.

 

 

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